All’inizio della meditazione del mattino ho chiesto se
qualche signora poteva dirci il menu del pranzo di nozze di uno dei suoi figli.
Quattro hanno raccontato. Siamo molto lontani dai nostri pranzi di nozze
italiani; c’è sempre da imparare. “E il pane c’era?”, ho chiesto. “Certo!”. “E perché
non l’avete detto?”. Già, il pane. È così normale, così quotidiano che a nessuno
viene in mente di nominarlo quando si racconta di un pranzo. Anche qui, questi
giorni, nel menu affisso all’entrata della sala da pranzo, non si legge mai che
ci sarà il pane.
Anche nell’ultima cena di Gesù doveva esserci un buon
menu, con agnello arrosto, erbe varie… eppure Gesù, per fare l’Eucaristia,
prese il pane, l’alimento più usuale, quello che aveva insegnato a chiedere nel
Padre nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. È così che ho iniziato la
meditazione sull’Eucaristia, alimento d’ogni giorno, cibo normale…
Gesù non ha poi detto questo pane è la mia anima, il mio
spirito, la mia parola… Ha detto “è il mio corpo”. Il suo corpo per il nostro
corpo. Non vuole salvare soltanto la nostra anima, ma la nostra persona nella sua
totalità, fino alla risurrezione della carne. Lui stesso, Verbo di Dio, s’è
fatto “carne”. Che valore alto acquista il nostro corpo, così com’è, con le sue
debolezze, le violenze subite, le sue ferite… La nostra storia è inscritta nel
nostro corpo e il corpo di Gesù si congiunge al nostro corpo, lo assume, nella
reciprocità del dono. Che valore il corpo! Con esso è tutta la creazione che
torna al suo Creatore.
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