Incontrai il professor Upadhyàya a Castelgandolfo durante
un simposio Indù-Cristiano. La barba bianchissima e folta gli arrivava fino
alla cintola, i capelli raccolti in una lunga treccia arrotolata dietro la
nuca. La sua conferenza verteva sul Bhàkti, l’amore puro che gli indù sono
chiamati a vivere, in totale abbandono e fedele donazione a Dio. Non una
lezione teorica, raccontava semplicemente come, assieme alla moglie, viveva il
rapporto con il bambino-Krishna.
Una ventina d’anni prima una piccola statua del dio
Krishna, venerata da due generazioni in una famiglia indiana, espresse un
desiderio: “Mi piacerebbe essere trasferita in casa del professor Upadhyàya
perché lui e sua moglie mi sono fedeli devoti”. Così l’11 novembre 1986 il
bambino Krishna entrò in casa del professor Upadhyàya, direttore degli studi di
ricerca post-laurea in Sanscrito e Cultura indiana antica all’Università di
Bombay.
“La statuina che è giunta a casa nostra – raccontava –
non è una semplice icona o statua o fotografia del dio Krishna: è proprio lui,
è nostro figlio, un bambino vero!”. Ogni mattina lui e la moglie andavano a
porgergli il loro ossequio. Gli toglievano la coperta dal letto, gli cantavano
una dolce melodia, gli porgevano una piccola giara d’acqua pregandolo di
volersi lavare da sé. Altre volte gli lavavano loro stessi denti e viso. Prendevano
quindi il tè e lo servivano anche a lui in una tazzina che gli sistemavano su
un piccolo vassoio e tante mille attenzioni. Poi ci sono i pasti, il riposo
pomeridiano, le visite degli amici, le feste, il riposo serale… Il tutto
accompagnato da inni, nenie e dolci conversazioni (Krishna abitualmente parla
loro nel sonno). L’intera giornata ruota attorno al bambino Krishna: “Parliamo
con lui, scherziamo con lui. Alle volte ci fa perdere la pazienza, allora
cerchiamo anche di intimorirlo… Altre volte lo coccoliamo. Insomma io e mia
moglie viviamo spontaneamente senza fatica insieme con Lui ogni momento della
nostra giornata. Dio è il centro della nostra vita, tutte le nostre attività
sono rapportate a lui”.
Rimasi incantato dalla semplicità di questo grande
professore, così come della sua grande fede e profonda devozione.
Dopo la conferenza andai a visitare il professor
Upadhyàya nella stanza d’albergo. Fui accolto con profonda cordialità e invitato
a sedermi per terra, sul tappeto, davanti al piccolo Krishna: naturalmente l’aveva
portato con sé a Roma. Con mia sorpresa mi accorsi che erano due gemelli,
grandi appena cinque centimetri. La signora mi mostrò l’intero guardaroba del
Dio. Avrebbe dovuto preparargli un vestito nuovo perché ad agosto sarebbe stato
il compleanno. Noto che il piccolo Krishna ha in mano un minuscolo flauto e mi
interesso anche a questo strumento. Nel pomeriggio, prima di riprendere i
lavori del dialogo Indù-Cristiano, il professor Upadhyàya mi viene incontro
eccitato: “Durante la siesta mi è apparso il piccolo Krishna e di ha detto:
Sono stato contento che il tuo ospite sia venuto a farmi visita. Hai visto come
si è interessato del mio flauto? Ho un messaggio per lui: Digli di essere vuoto
come un flauto, in modo che attraverso di lui possa far risuonare le mie
melodie”.
Ne nacque una profonda amicizia. L’ho
incontrato parecchie volte a Roma, in Thailandia, in India… Indimenticabile l’accoglienza
che riservò nel 2005 alla sua università. La Bharatiya Vidya Bhavan (Casa delle
sapienza indiana).
L’ultimo incontro fu nella sua casa al centro di Mumbai, la vigilia di Natale 2016. Un appartamento piccolo, stracolmo di libri, sparsi ovunque. Due camere e cucina, dove vive il professore con la moglie e con il figlio sposato.
Gli chiedo chi è un guru, perché lo so, Upadhyàya è un guru. “È colui che illumina la via, e mostrare la strada, che eliminare la tenebra e dà luce agli occhi per poter vedere fuori di noi e dentro di noi”. La parola ha la radice gŗ che significa luce. E come si sceglie il proprio guru? gli domando ancora. “Il guru non si sceglie, è il guru che sceglie te. O piuttosto è una misteriosa, inspiegabile attrazione reciproca. Come è accaduto a Gesù con i suoi primi discepoli – continua a spiegarmi. Le ha guardati negli occhi, loro lo hanno guardato negli occhi e c’è stata l’attrattiva. La stessa che sta all’origine dell’innamoramento di un ragazzo e di una ragazza: perché proprio quella ragazza, quando ce ne sono di più belle, di più ricche? È il mistero dell’amore… In definitiva è Dio che ha scelto quelle due persone a percorrere una strada insieme come due tronchi che navigano sullo stesso fiume, uno accanto all’altro”.
Intanto la moglie Koikyla e la nuora ci offrono tè
indiano con ginger e menta e tipici snacks del Gujarat: pakora
fritte in nostra presenza e minuscoli dolci con diversi ingredienti. Noi,
essendo Natale, gli regaliamo una statuina di Gesù Bambino, fatta dai gen 4.
Gli chiedo se mi fa vere un testo del Bhagawad-Gita in sanscrito, poi azzardo: “Perché non salmodiate un capitolo?” Koikyla canta tutta una parte del testo sacro. Ha il libro aperto, ma lo sa tutto a memoria. Canta anche la nuova; anche lei lo sa a memoria, pur non conoscendo l’antica lingua sanscrita. Si crea una atmosfera sacra.
Il prof. Upadhyàya mi chiede se possiedo il testo del Bhagawad-Gita. “In inglese”, gli
risposto. Sorride: “È come se invece di vivere con la moglie avessi soltanto
una sua foto!”. Me ne offre una copia in sanscrito, anche con alcune
illustrazione.
Parlando
di prossimi appuntamenti, ci prega di ricordargli le date, “perché ormai sono
vecchio e ho poca memoria. L’unica cosa che ricordo è Dio”.
Prima di
uscire gli chiedo se posso vedere il Baby Krishna che aveva portato con sé a
Roma nel 2002, quando ci eravamo conosciuti la prima volta. Passiamo così nella
mini cucina dove si trova il piccolo tempio di famiglia dedicato a Krishna e ai
due piccoli gemelli Krishna. Sorpresa: il Gesù Bambino che avevamo appena
regalato è già collocato accanto a Krishna! Faranno Natale insieme! Gesù non è
venuto in terra proprio per entrare nelle nostre culture?
Oggi mi giunge la notizia che “il professore Upadhyàya, pioniere nel dialogo hindu-cristiano con Chiara Lubich, ha
raggiunto "Ananda", il luogo del riposo del giusto”. Ci incontreremo
ancora…
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