“Le sfide della vita consacrata
oggi”. È il tema che la Comunità monastica di Gerusalemme mi ha chiesto di
trattare. Così oggi ho incontrato un centinaio di monaci e monache. Ma cosa
dire a persone tanto brave? Ho trattato a lungo il mio tema, ma ho finito col
dire le solite cose. Ossia che rimane fondamentale la radicale scelta e
testimonianza di Dio. Mostrare Dio è forse la principale sfida richiesta alla
vita consacrata nella Chiesa. È la sfida di sempre, ma il contesto attuale lo
domanda forse come mai prima d’ora.
E soprattutto testimoniare la
gioia.
Durante l’anno santo del 1975
destò stupore che Paolo VI, un papa anziano e già ammalato, che appariva sempre
molto serio, scrivesse una Esortazione apostolica sulla gioia: Gaudete in
Domino. Era un messaggio rivolto a tutti i membri della Chiesa, tuttavia è
facile notare che, quando propone esempi di gioia, i Papa enumera una serie di
testimoni della vita religiosa «che hanno fatto scuola sul cammino della
santità e della gioia: sant’Agostino, san Bernardo, san Domenico, Sant’Ignazio
di Loyola, san Giovanni della Croce, santa Teresa d’Avila, san Francesco di
Sales, san Giovanni Bosco», fermandosi in maniera particolare sull’esperienza
di Francesco d’Assisi, Teresa di Lisieux, Massimiliano Kolbe» (n. IV).
Quattro anni prima, quando in Evangelica
testificatio invitava religiosi e religiosi alla testimonianza della gioia,
ad essere aperti alla «gioia divina» (n. 53), aveva già anticipato, in un certo
senso, il dettato di quel documento. In concreto li supplicava: «conservate la
semplicità dei più piccoli del Vangelo» (n. 54). Raccomandava «di custodire la gioia
di appartenere a Dio per sempre» (n. 55).
L’invito a testimoniare la gioia
del Vangelo ha fatto strada, fino alla Lettera apostolica rivolta da papa
Francesco a tutti i consacrati in occasione dell’anno della vita consacrata,
quando ricordava che «“Dove ci sono i religiosi c’è gioia”. Siamo chiamati a
sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di
renderci felici (…). Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone
scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”».
Sono felici i religiosi? L’ho chiesto a una di loro che mi ha risposto: «Certamente, però lo sanno dissimulare molto bene!». No, non abbiamo paura di mostralo!
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