mercoledì 25 agosto 2021

Testimoni della gioia

 

“Le sfide della vita consacrata oggi”. È il tema che la Comunità monastica di Gerusalemme mi ha chiesto di trattare. Così oggi ho incontrato un centinaio di monaci e monache. Ma cosa dire a persone tanto brave? Ho trattato a lungo il mio tema, ma ho finito col dire le solite cose. Ossia che rimane fondamentale la radicale scelta e testimonianza di Dio. Mostrare Dio è forse la principale sfida richiesta alla vita consacrata nella Chiesa. È la sfida di sempre, ma il contesto attuale lo domanda forse come mai prima d’ora.

E soprattutto testimoniare la gioia.

Durante l’anno santo del 1975 destò stupore che Paolo VI, un papa anziano e già ammalato, che appariva sempre molto serio, scrivesse una Esortazione apostolica sulla gioia: Gaudete in Domino. Era un messaggio rivolto a tutti i membri della Chiesa, tuttavia è facile notare che, quando propone esempi di gioia, i Papa enumera una serie di testimoni della vita religiosa «che hanno fatto scuola sul cammino della santità e della gioia: sant’Agostino, san Bernardo, san Domenico, Sant’Ignazio di Loyola, san Giovanni della Croce, santa Teresa d’Avila, san Francesco di Sales, san Giovanni Bosco», fermandosi in maniera particolare sull’esperienza di Francesco d’Assisi, Teresa di Lisieux, Massimiliano Kolbe» (n. IV).

Quattro anni prima, quando in Evangelica testificatio invitava religiosi e religiosi alla testimonianza della gioia, ad essere aperti alla «gioia divina» (n. 53), aveva già anticipato, in un certo senso, il dettato di quel documento. In concreto li supplicava: «conservate la semplicità dei più piccoli del Vangelo» (n. 54). Raccomandava «di custodire la gioia di appartenere a Dio per sempre» (n. 55).

L’invito a testimoniare la gioia del Vangelo ha fatto strada, fino alla Lettera apostolica rivolta da papa Francesco a tutti i consacrati in occasione dell’anno della vita consacrata, quando ricordava che «“Dove ci sono i religiosi c’è gioia”. Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici (…). Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”».

Sono felici i religiosi? L’ho chiesto a una di loro che mi ha risposto: «Certamente, però lo sanno dissimulare molto bene!». No, non abbiamo paura di mostralo!

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