Nella festa della Trasfigurazione mi è giunto, per
una valutazione, un articolo riguardante l’esortazione apostolica Evangelica
testificatio di Paolo VI, proprio nel giorno nel quale ricordiamo la sua
morte. La lettura dell’articolo è stato un modo per vivere in comunione con quel
grande Papa.
Lo scritto di Paolo VI mette in evidenza il valore
della testimonianza cristiana, a partire da quella che devono rendere le
persone consacrate. Il mondo – si legge nell’esortazione – ha bisogno di vedere
«uomini e donne, che hanno creduto alla parola del Signore, alla sua
risurrezione ed alla vita eterna, fino al punto di impegnare la loro vita
terrena per testimoniare la realtà di questo amore, che si offre a tutti gli uomini».
Il sigillo di tale testimonianza dovrebbe essere la gioia: «La gioia di appartenergli per sempre è un incomparabile
frutto dello Spirito santo, che voi avete già assaporato». «Nella misura in cui
si irradierà dalle vostre comunità, questa gioia sarà per tutti la prova che lo
stato di vita, da voi scelto, vi aiuta (…) a realizzare la massima espansione
della vostra vita nel Cristo». Sì, la gioia sincera di chi dà testimonianza è
la garanzia migliore del messaggio che porta, una vita felice è attrattiva.
L’articolo che ho letto asserisce: «Pensando alla
situazione odierna, almeno in Occidente, appare con evidenza che il mondo
giovanile non è in genere attratto dalla vita consacrata. Non è, invece, facile
dire se i religiosi vivano nella gioia la propria vita, perché questo in gran
parte riguarda esperienze molto personali. Certamente, però, possiamo affermare
che se sono felici lo sanno dissimulare molto bene».
Mi è venuto alla
mente l’articolo di Jesús Castellano, pubblicato volta nel trigesimo della
morte da L’Osservatore Romano (luglio 2006):
«Sono rimasto sorpreso per l’insistenza con cui ricorre nei vangeli dell’ultima cena l’invito alla gioia (Gv 15,11; 16,20-21; 22.24; 17,13). È uno dei temi che più ricorrono nei discorsi di addio dell’ultimo incontro conviviale di Gesù con i discepoli (…). A pensarci bene dobbiamo ammettere che la gioia è una parola chiave del lessico cristiano. Dall’Antico Testamento, con la gioia di Dio e dell’uomo nella creazione, all’Apocalisse, con la promessa della gioia senza ombre, un fiume pieno di letizia percorre tutta la Bibbia (…) Oggi si parla della riscoperta della bellezza come espressione di una necessaria integrazione con la verità e la bontà, le due colonne o i due trascendentali classici. Io mi batto per introdurre la quarta colonna, quella della gioia, della felicità, della beatitudine. (…) Alla parola recente della teologia: «Dio è bellezza», occorre aggiungere: «Dio è gioia». (…) Se poi si guarda a questo nostro mondo dove c’è tanta tristezza e tanta gioia superficiale, viene da invitare i cristiani, persone della gioia, del sorriso e del buon umore, a diventare apostoli di un nuovo ministero umanistico, quello del buon umore e dell’ottimismo cristiano. La Chiesa ha bisogno di diventare casa e scuola di comunione nella gioia vera, tanto più umana quanto divina».
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