Paradiso ’49, il libro più prezioso che
Chiara Lubich ci ha lasciato, sarà letto per generazioni e generazioni. Ma in
quell’estate 1949 non era un libro, era un’esperienza vissuta e raccontata a
quanti le stavano attorno. Alcune delle sue compagne, come Lia Brunet, Bruna
Tomasi, Ginetta Calliari, Marilen Holzhauser (Chiara era andata a prendere
quest’ultima proprio la sera del 16 luglio) erano presenti stabilmente a
Tonadico, altre, tra cui Vittoria (Aletta) Salizzoni e Natalia Dallapiccola,
rimaste a Trento per lavoro, salivano in montagna nel fine settimana o per
qualche giorno. Con queste ultime salivano anche i giovani, come Marco Tecilla
e Aldo Stedile (Fons). «M’è rimasta impressa in particolare – racconta Marco –
una domenica che con le focolarine andammo in gita in una località chiamata “Madonna
della luce”. C’era fra tutti un clima altamente spirituale: Dio aveva fuso le
nostre anime… Ogni volta che da lassù si tornava a Trento, si aveva la
sensazione di scendere da un’altissima montagna avvolta di luce, tanto che a
malapena si riusciva a “rientrare” nella vita normale, quotidiana... si viveva
in una continua contemplazione». A volte Chiara stessa scendeva a Trento per
condividere con le persone più vicine quanto stava vivendo e per coinvolgerle
nello stesso cammino.
Igino Giordani continuava a essere trascinato nell’avventura
di Cielo: appena poteva la raggiungeva a Tonadico, ma intanto Chiara gli
comunicava per iscritto quanto viveva. Il resoconto «era così bello – racconta
egli stesso – che, per tema andasse perduto o cadesse in mani estranee, in
Svizzera dove mi ero recato, lo trascrivevo premettendovi l’avvertimento: “Visioni
della beata Giuliana di Norwich”. Tra gioghi, all’ombra delle conifere, sotto
rocce, possibilmente presso icone o santuari, ella parlava di Dio, della
Vergine, della vita soprannaturale: la sopra-natura era la sua natura… E allora
quelle foreste si trasfiguravano in cattedrali, quelle cime parevano picchi di
città sante, fiori ed erbe si coloravano della presenza di angeli e di santi:
tutto si animava di Dio. Cadevano le barriere della carne. Si apriva il
Paradiso».
Il piccolo gruppo alloggiava in una rustica baita ereditata
da Lia Brunet, che da allora prese il nome di “baita Paradiso”. Avevano
trasformato la parte superiore del fienile in una grande stanza da letto, a
cui si accedeva tramite una scala a pioli dal piano terra, formato da una
stanza con piccola cucina.
Nella camera da letto avevano sistemato alcune brande e un
armadio tirato su con una carrucola.
La densità spirituale di quei giorni si armonizzava con la
semplice vita quotidiana. «Nel frattempo – scrive Chiara – non si smetteva di vivere, vivere con intensità, in mezzo
ai nostri lavoretti di casa, quella realtà che eravamo, vivendo la Parola di
Vita». Tutte le mattine la messa e alle sei di sera in chiesa,
davanti all’altare della Madonna, la meditazione. Per il resto della giornata,
con i grembiuli da lavoro, facevano il bucato alla fontana pubblica nella
piazza del paesino, sbrigavano le faccende di casa, poi via per boschi e prati,
in lunghe gite in montagna. «Andavamo insieme – racconta Aletta – e, lungo il
cammino, conversavamo… Se sostavamo per un pic-nic, o se ci accomodavamo
all’ombra di un albero o in un prato, [Chiara] cominciava a parlare e noi le
stavamo sedute tutt’attorno. Ci riposavamo e costruivamo l’unità tra noi, cioè
ci amavamo in modo soprannaturale. Eravamo sempre in Dio, con semplicità. Si
cominciava dal naturale, perché siamo su questa terra. Ma il soprannaturale da
solo non esisteva, perché tutto era naturale e tutto era soprannaturale. Natura
e sopra-natura erano un tutt’uno per noi».
Giovani, amavano giocare: pescando a sorte i bigliettini
preparati, a ognuna toccava una litania della Madonna, quasi a indicare il
dover essere di ciascuna, oppure il nome di un fiore... Un giorno erano in
dodici, e ad ognuna venne assegnato un nome dei dodici apostoli. «A me –
racconta Luigina, – capitò quello di Giuda Taddeo che però non mi garbò per via
di quel nome, Giuda. Ebbene, Chiara me lo fece amare giacché mi ricordò che
Giuda Taddeo “era cugino di Gesù”. Il paradiso non era qualcosa “in su”. Era
qui in terra ed era reale come Gesù,
che è venuto ad abitare tra noi, e il cielo l’ha portato quaggiù! Parlavamo di
“realtà” o di “paradiso” concependoli non come cose dell’altro mondo, ma da
vivere quaggiù».
Gustare il Paradiso
«Dobbiamo esser
"spensierati" perché figli di Dio. I figli di Dio non hanno pensieri
[…] senza volontà per aver la capacità della volontà di Dio. E senza memoria
per ricordare solo l’attimo presente e vivere “estatici” (fuori di noi)».
Anche nelle difficoltà, nelle prove, nei dubbi che a volte
rendono pesante il quotidiano, possiamo abbandonarci con fiducia nelle mani di
Dio, sicuri del suo amore. Ci darà occhi nuovi per leggere la realtà,
creatività per viverla, lasciandoci in cuore la “leggerezza” dei bambini.
Nessun commento:
Posta un commento