Custodire, con tenerezza
Un’altra parola chiave del magistero del papa è custodire. Questa parola
prende le mosse dall’atteggiamento di san Giuseppe, che il papa contempla nel
giorno della sua festa, data di inizio del suo ministero petrino. Una custodia
che ha il senso di prendersi cura dell’altro, dal creato fino ai piccoli e ai
poveri.
E’ il custodire l’intero
creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e
come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni
creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.
E’ il custodire la
gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei
bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella
periferia del nostro cuore.
E’ l’aver cura l’uno
dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come
genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano
custodi dei genitori.
E’ il vivere con sincerità
le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e
nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una
responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! …
Ma per “custodire”
dobbiamo anche avere cura di noi stessi!... Custodire vuol dire allora vigilare
sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le
intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono!
Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora,
un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede
di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo
forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza,
che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e
capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di
amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! (Omelia, Martedì, 19 marzo 2013, Solennità di
San Giuseppe)
Da queste ultime parole emerge un’altra parola
che ricorre spesso nel linguaggio del papa: tenerezza. La pronuncia molte
volta, ma soprattutto la mostra visibile nel suoi gesti verso i bambini, gli
ammalati, i carcerati, le donne…
Quale è la virtù più grande? gli è stato chiesto:
“Senz’altro la virtù
dell’amore, di dare spazio agli altri, con animo mite. La mitezza mi seduce
enormemente! Chiedo sempre a Dio di concedermi un cuore mite”. (Libro
intervista, p. 120)
La tenerezza e la mitezza sono il segreto del papa e del suo successo.
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