Il 14 giugno 1991 partii da Hong
Kong per Guangtzhou con un viaggio organizzato; non avevo altra scelta per
entrare nella Cina continentale. Un volo di poco più di un’ora con l’aliscafo, a
pelo d’acqua, fino alla città di Shekou. Da lì fummo una guida cinese ci condusse
prima ad un piccolo museo, che mi fece intuire l'antichità e la preziosità
della cultura cinese, poi in un asilo dove i bambini ci offrirono un saggio di
canto e danza (bambini carini, ma cosa era penosa perché forzata, per gli
stranieri). Poi di nuovo in viaggio verso Guangtzhou (Canton), con
l’immancabile vista allo zoo per vedere il panda, al suggestivo dei Six Banyan
Trees; al Dr. Sun Yat-sen Momorian…
Nel diario di allora scrivevo: “Mi
incanto a godere il panorama, la gente, le case, i campi, i contadini... Mi
mangio con gli occhi città e persone. Sei milioni di abitanti, un esercito di
biciclette... Per quel poco che posso cerco ovunque di avvicinare la gente, a
Shekou, al ristorante, a Canton, nei negozi, quanti incontro per strada…
Bastano poche parole d'inglese. Sono tutti desiderosi di comunicare. Alle 7.30
di sera prendiamo il treno per tornare a Hong Kong. Mi restano negli occhi le
scene di campagna che contemplo dal treno in corsa: i contadini con i grandi
cappelli di paglia in mezzo ai campi di riso, che tornano a casa con il bufalo,
i giovani che fanno il bagno nei corsi d'acqua... Un giorno soltanto… Mi
restano solo immagini e volti. Le strade, la gente, le costruzioni povere... I
volti dei bambini che mi sono venuti incontro nel villaggio, le ragazze che
sorridevano alla finestra, i giovani al lavoro, la vecchia sull'uscio di casa,
le due ragazzini con cui ho parlato fuori del ristorante, il giovane simpatico
che ci ha accompagnato per tutta fa giornata, le commesse dei negozi nei quali
siamo stati.
Mi sono ricordato tutto il giorno
delle parole dette da Paolo VI nel suo viaggio in Asia, rivolto verso la Cina:
“Amore, amore, amore...” E mi sono ricordato di come domenica scorsa la gente,
quando distribuivo la comunione, invece di mi rispondere Amen, dicevano: Ama!
Così per tante volte mi sono sentito dire, con un imperativo straordinariamente
forte: Ama, ama, ama... che naturalmente mi suonava italiano! Mi veniva da dire:
Sì, d'accordo, ho capito, devo amare…”
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