«L’aereo è molto instabile per i vuoti d’aria. Nella notte una grandiosa luna illumina il deserto rugato di dune sterminate: pallida diffusa luce che ammanta l’anima ricordando Maria: sono le prime ore del primo di maggio». Inizia così, col volo Roma-Dakar-Rio de Janeiro, un lungo reportage apparso in “Città Nuova” sul viaggio in Brasile, a firma di Paola Romana, pseudonimo di Chiara Lubich, che in quegli anni è invitata a rimanere nell’ombra. Già dalle prime righe si intuisce il tono dell’articolo: descrittivo di un mondo nuovo visitato per la prima volta e attento alle risonanze interiori da esso suscitate. È il 1961.
«Rio è sterminata; già dall’aereo sembrava senza confine. I
fiumi la frastagliano in penisolette e isole verdeggianti...». Poi Recife: «un
magnifico mare... villette di fine gusto sparse qua e là... mocambos, abitazioni primordiali, impasto di fango e
canne... coqueiros, splendide palme altissime, una vegetazione
equatoriale che ricorda il paradiso terrestre. Acqua e sole. Acqua e sole a
tutte le ore». Dalla natura alle persone: «forte il salto fra i benestanti e i
nullatenenti... Ma la grazia di Dio e la chiamata del Signore sembrano non
accorgersi affatto delle distanze messe dagli uomini, ed accomunano tutti in un
solo anelito: quello di diffondere il regno di Dio...». È per queste persone
che Chiara Lubich è venuta in Brasile: «Abbiamo conosciuto decine di queste
creature ricche e povere un tempo, ora stracariche tutte, ma del Signore». È
ammirata dai missionari che si dedicano anima e corpo a questo mondo
meraviglioso. Come loro anche lei rimane incantata da questa terra che «ha un
fascino irresistibile». A Pernambuco, nel Nord Est, «il fiume Capibaribe...
sembra accendersi di fiamma quando il gran disco rosso, calando, tutto
arrossisce».
È tempo di ripartire. Come lasciare persone con le quali è
nato ormai un rapporto profondo e sincero, soprattutto i membri del Movimento
dei Focolari, i “popi”, come li chiama familiarmente col suo dialetto trentino,
i bambini del Vangelo? A loro da Rio de Janeiro scrive una breve lettera. La
legge e la consegna alle due amiche, Lia Brunet e Lilù Macdowel, che l’hanno accompagnata all’aeroporto e che si commuovono.
«Anche a
me succede così, dice loro Chiara. Si vede
che c’è
Gesù in
mezzo... Quando [a Recife] ho salutato tutti i
popi e
ero nell’aereo, quasi non
trattenevo le
lacrime... Siamo
legati più
che una
famiglia umana... Il nostro è
un Ideale umano/divino...»
Rio [de Janeiro], ore 5 ¾ [8 maggio 1961]
Carissimi popi,
sono qui
all’aeroporto con Lia e Lilù in attesa della partenza.
Non posso lasciare
questa terra, che per la prima volta ho conosciuto, senza andarvi un saluto.
Quando l’aereo
s'alzava a Recife guardando dall’alto quelle palme e quell’ambiente, dove voi
restavate per Gesù, sono stata presa da un nodo alla gola che m'è durato lungo
il viaggio e mi ha fatto capire quanto Gesù ci abbia unito in Lui come e molto
più d'una famiglia naturale. E mi sono ricordata del pianto delle sorelline di
Santa Chiara quando lei era partita per il Cielo… a conferma d'uno sterminato
amore che le legava a lei perché con lei avevano amato il Signore.
Che grande cosa
l’Ideale; che cosa mai ha fatto Gesù per noi! [...]
Sono certa che voi
sentirete quanto vi siamo vicini!
Ora popi, avanti!
Il mondo è di chi lo
ama e meglio sa dargliene la prova.
Amate tutti, non
giudicate mai. Porgete la destra a chi vi percuote la sinistra e penserà Lui,
che ci unisce da un continente all’altro, a radunare carboni ardenti sui nemici
ed a farli crollare di fronte all’Opera di Dio.
E state tutti felici
ché ve lo meritate.
E poi se Gesù è fra
voi lo Sposo è con voi.
Vi lascio nel Cuore
Immacolato di Maria unitissima a tutti.
È il mio articolo di gennaio apparso su Città Nuova, dove da un po' di tempo mi è stato chiesto di pubblicare ogni mese un testo inedito di Chiara Lubich.
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