Nell’inno della lettera ai Romani, Paolo canta la sua profonda comprensione dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?» (Rom 8, 28–39).
Niente
può separarci dall’amore che Dio ha per noi perché tutto è amore, e niente può
separarci dal nostro amore per Dio perché in tutto vediamo il suo amore e tutto
diventa risposta d’amore.
Questo
inno all’Amore di Dio è frutto della profonda e personale esperienza di Paolo.
Nei lunghi anni di servizio a Cristo niente è riuscito a separarlo da Dio. In 2Cor 11, 23–27 racconta le molte
tribolazioni alle quali è dovuto andare incontro. Come mai niente gli è stato
di ostacolo, anzi gli è diventato strada di salvezza? Come mai in tutto ha
scoperto l’amore di Dio? Perché tutto concorra al bene occorre amare Dio,
infatti “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, per coloro cioè che
hanno fatto l’esperienza di Dio. E Paolo è proprio uno di quelli che hanno
fatto l’esperienza di Dio, che “amano Dio”. Tutto gli è stato manifestazione
d’amore perché amava.
L’amore
di Dio si è manifestato a Paolo in Cristo Gesù un giorno, sulla via di Damasco:
«E io gli dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu
perseguiti» (At 26, 15). È Dio Amore
che si rivela nel Figlio: «...colui che mi scelse dal seno di mia madre e mi
chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio» (Gal 1,15–16). Davanti a chi lo contesta,
può rivendicare di averlo visto: «Non sono forse un Apostolo? Non ho veduto
Gesù, il Signore nostro?» (1Cor 9,
1).
Cosa
avvenne in quell’incontro di Damasco? Mentre Paolo perdeva la vista, scrive San
Massimo di Torino, «acquistava occhi nuovi per fissare meglio Cristo». Appena
fissato Cristo, questi diventa il suo Signore e la gloria di Paolo, d’ora in
poi, sarà solo quella di essere “servo del nostro Signore Gesù Cristo”. Tutto
il resto perde valore: Lui è la Vita. Il resto diventa opaco, si eclissa
lentamente all’orizzonte, appare periferico davanti alla centralità di Cristo:
«Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita di
fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il
quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al
fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,
7–11).
Davanti
alla conoscenza di Cristo, tutto è diventato un non senso: la sapienza di
questo mondo, la vita passata con tutta la ricchezza e la gloria della legge e
della veneranda tradizione. Davanti a sé ha solo Cristo e Cristo Crocifisso: «Non
conosco che Cristo e Cristo Crocifisso» (1Cor
2, 2).
È
la conoscenza biblica, cioè quel profondo rapporto di comunione che gli fa
dire: «per me vivere è Cristo» (Fil
1, 21), che gli fa concepire la vita come un con–vivere, con–morire,
con–risuscitare, con–sedere nei cieli in Cristo. È quell’assimilazione profonda
a Cristo che gli permette di ripetere più volte: «siate miei imitatori» (1Cor 11, 1).
Paolo
diventa così il “cantore di Cristo”: «Il glorioso Paolo apostolo – come scrive Santa
Teresa d’Avila – non poteva fare a meno di aver sempre sulla bocca il nome di
Gesù, perché l’aveva ben fisso nel cuore».
Conosciuto
Cristo ha ormai una sola brama, quella che anche gli altri possano conoscere e
sperimentare l’amore di Cristo. Questo il fine del proprio apostolato, questo
l’oggetto della sua preghiera: «Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal
quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda,
secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal
suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri
cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere
con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la
profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché
siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef
3, 14–19).
Il
25 gennaio 1816, giorno che ricordava la conversione di Paolo, nacque la prima comunità
degli Oblati, nella volontà di continuare l’esperienza di conversione e di
annuncio dell’Apostolo.
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