Sto per terminare la
lettura di un libro affascinante: Resisti, cuore, di Alessandro D’Avenia, un’interpretazione
dell’Odissea di Omero.
Lungo quattro canti del poema Ulisse narra ai Feaci la sua storia. Si conclude con le parole: “Così narrava. E tutti rimasero muti, in silenzio, come presi d’incanto, nella sala piena di ombre”. È l’autobiografia di Ulisse.
Mi piace il commento
di D’Avenia: «Un’autobiografia... non è cronaca, ma trasformazione del vissuto
in verità, speranza, impegno e coraggio per nascere del tutto... questo
significa “avere una vita”: poterne fare il racconto... Il nostro io è
narrativo, comprendiamo la vita sempre e solo come narrazione» (p. 279).
L’autobiografia non è
una biografia. La biografia si impegna a ripercorrere diligentemente tutte le
tappe del vissuto. L’autobiografia sceglie, elimina, enfatizza, coglie il
senso, ritesse le trama della vita, le ri-crea, la crea di nuovo.
Incanta, se è vera. Lascia muti, come i Feaci al racconto di Ulisse.
La prossima settimana
raccoglierò un gruppo di amici con i quali condividere i racconti dei nostri rispettivi
fondatori: come, perché, in quali circostanze hanno raccontato di sé. Immagino
sarà un momento intenso e arricchente.
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