domenica 30 gennaio 2022

La prova perché? Oppure: La prova per chi?


Questi giorni mi è capitato tra mano un articolo che pubblicai parecchio tempo fa, nel 2008, dal titolo: La notte tempo di prova. L’esperienza dei santi. Dopo aver esposto alcune prove passati dai santi mi ponevo la domanda: “Perché Dio agisce così con i suoi?”.

La prima motivazione della teologia classica va nella direzione della purificazione dell’anima, così da portarla all’unione intima con Dio. «Questa notte oscura – spiega Giovanni della Croce – è un influsso di Dio nell’anima che la purifica dalle sue ignoranze e imperfezioni abituali naturali e spirituali». Più Dio vuole unire a sé una persona, più la lavora.

Ma non sembra questa l’unica motivazione. Per alcuni santi – già a lungo purificati da precedenti prove – la notte, più che una ulteriore purificazione, diventa la via per la piena conformazione a Cristo. Lo ha espresso con chiarezza Edith Stein [Teresa Benedetta della Croce] quando afferma che la notte è una forma di partecipazione al mistero dell’abbandono di Gesù: «Nessun cuore umano è mai penetrato in una notte tanto oscura come il Verbo Incarnato nel Getsemani e al Golgota. Nessuno spirito umano potrà, per quanto investighi, penetrare nel segreto dell’abbandono divino del Cristo moribondo. Però Gesù può dare di gustare alle anime scelte qualcosa di questa estrema amarezza. Sono suoi fedeli amici dai quali esige la suprema prova d’amore. Nel caso che non si arrestino e ritornino indietro, ma che volontariamente si lascino introdurre nella notte oscura, egli stesso si converte in loro guida». Nella stessa linea l’esperienza di Gemma Galgani e, forse meno nota, quella di Faustina Kowalska. «Ho cominciato ad amare la mia oscurità – scrive Madre Teresa di Calcutta –, perché credo ora che essa è una parte, una piccolissima parte, dell’oscurità e della sofferenza in cui Gesù visse sulla terra». Si compie in modo eminente ciò che Paolo dice di sé: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).

Penso tuttavia che la domanda più appropriata non sia tanto: Perché Dio permette le prove e le notti?, quando: Per chi?

Più che nella necessità di una purificazione personale, la risposta va cercata nella necessità di una purificazione degli altri, dell’umanità. Il santo o la santa provano in sé il peccato, l’abbandono, il patire del mondo loro contemporaneo, li condividono fino in fondo assumendoli e purificandoli in se stessi. La loro è una partecipazione alla sofferenza redentrice di Cristo che, sulla croce, si è addossato il male del mondo per operare la salvezza. Teresa di Gesù Bambino era ben consapevole di questa vocazione: la sua notte rispecchia e partecipa di una notte più ampia, quella dell’umanità che si sta avviando verso l’ateismo. Garrigou-Lagrange, dopo aver letto in questa linea l’esperienza di Paolo della Croce, conclude generalizzando: «Qui la sofferenza fa pensare a quella di un soccorritore che, in un naufragio, lotta eroicamente per strappare alla morte quelli che stanno per annegare. (...) Queste anime sono intimamente associate alla vita dolorosa del Salvatore».

Per chi dunque il patire, il buio, la notte che in modi diversi tutti prima o poi avvertiamo? Per la Chiesa, perché sia purificata, sia sempre più bella; per le persone attorno a noi che vogliamo portare a Dio; per l’umanità, perché trovi la strada per il cielo.

Si ripete l’esperienza di Paolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

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