Ho
letto Appia, di Paolo Rumiz. Un libro scritto con i piedi. È il diario
del viaggio sull’Appia da Roma a Brindisi, su quella che è rimasta, su quella
che è sparita. Un viaggio fatto a piedi in 29 tappe, su basoli, asfalto,
sterrato, sterpaglie, campi di grano, seguendo il tracciato della “regina
viarum”, pronti a saltare recinzioni, a ignorare divieti…
È un
libro di storia, archeologia, paesaggi, poesia, cultura, mangiari... Fatto di
incontri di persone, di diffidenza e di accoglienza, di frustrazioni e di esaltazioni.
A piedi si vedono cose che non si vedono in macchina, ed è rabbia, scoperta, contemplazione.
Vedi passare davanti mezza Italia, così com’è, con le sue glorie e le sue
miserie, la rassegnazione e la ribellione… Uno spaccato di memorie e di
attualità, senza filtri.
Rumiz
ha la capacità di coinvolgerti nel cammino e ti ritrovi immerso negli stessi
paesaggi, nelle stesse masserie, con la nostra gente ritratta al vivo.
Il
libro è anche metafora di ogni viaggio, con il desiderio dell’avventura, della
scoperta e le tentazioni di abbandonare il cammino, col senso che stai
compiendo una missione e quello dell’inutilità e del fallimento.
“L’uomo
ha piedi non radici”. “Il cammino è il solo, autentico sistema di controllo e
di conoscenza!”. “Il mondo è di chi pesta la terra con le suole”.
Al
pensiero che quella strada è stata percorsa anche da Pietro e Paolo, Rumiz ammonisce
che “la Chiesa non è un faro immobile, ma una carovana che va”. Piacerebbe a Francesco,
il papa del cammino sinodale e della Chiesa in uscita.
Nessun commento:
Posta un commento