Nella parabola del buon Samaritano
Paolo VI vedeva il paradigma della svolta antropologica operata dal Vaticano
II: un atteggiamento di benevolenza, di stima, di amore e di servizio verso la
società contemporanea, così da perseguire la propria missione di unità.
È quanto racconto sull’articolo che ho pubblicato sull’ultimo numero di Unità e Carismi, dedicato ai 50 anni del Concilio Vaticano II:
Al termine del Concilio, nel suo discorso
di chiusura, il Papa prendeva atto del grande cambiamento che era avvenuto
nella Chiesa: il programma di dialogo, partecipazione, collaborazione, ascolto con
il mondo moderno, proposto agli inizi da Giovanni XXIII, si era realizzato: “Il
magistero della Chiesa […] è giunto, per così dire, a dialogare con lui [l’uomo
contemporaneo]; e pur conservando sempre l’autorità e la forza che gli sono
proprie, ha assunto la voce familiare ed amica della carità pastorale, ha
desiderato farsi ascoltare e comprendere da tutti gli uomini […] esso ha
parlato all’uomo d’oggi, così com’è. […]
“L’antica storia del Samaritano è
stata il paradigma della spiritualità del Concilio”. Esso aveva provato per il
mondo contemporaneo la stessa compassione di quell’uomo buono per il ferito che
giaceva lungo la strada: “Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta
dei bisogni umani (…) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. (…) Una
corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo
umano odierno”.
È quanto racconto sull’articolo che ho pubblicato sull’ultimo numero di Unità e Carismi, dedicato ai 50 anni del Concilio Vaticano II:
Dal
nuovo papa ci aspettiamo che prenda sul serio il Concilio e aiuti tutti a
prenderlo sul serio.
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