Dopo che per giorni continuava a recitare la
preghiera sacerdotale di Gesù, apa Pafnunzio si era reso conto che essa somigliava
alle parole degli innamorati che tornano e ritornano a ripetersi, senza mai
stancarsi di dire e ridire le medesime cose.
Gesù amava ricordare al Padre che tra loro tutto
era comune, frutto di una reciproca immanenza: “Tutte le cose mie sono tue, e
tutte le cose tue sono mie”; “Tu, Padre, sei in me e io in te”; e ancora: “Noi
siamo una sola cosa”.
Erano dunque queste le parole che Gesù rivolgeva
al Padre quando la notte si ritirava a pregare in luoghi solitari? Quando sentiva
la nostalgia del cielo lasciava tutti per stare a tu con il Padre e ripetere: “Tu,
Padre, sei in me e io in te… Noi siamo una cosa sola”. Quante volte avrà fatto
scorrere in cuore quelle parole?
Quella sera necessitava più che mai di entrare in dialogo
profondo con il Padre; stava per affrontare la grande prova e aveva bisogno di
sentire il Padre in sé e di sentirsi nel Padre. Soltanto in quel rapporto
avrebbe trovato la forza per affrontare passione e morte.
Ma perché, si domandò apa Pafnunzio, quella sera Gesù
parlava con il Padre con tanta confidenza ad alta voce, davanti ai suoi
discepoli, e non più da solo, in luoghi isolati? Perché li rendeva testimoni
del suo rapporto d’amore e di reciproca appartenenza con il Padre? Non era
forse per coinvolgere anche loro in quel dialogo, in quell’abbraccio d’eternità?
Ne fu confermato quanto ripeté per intera la prima
frase: “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in
loro”. Dapprima gli risuonarono incomprensibili quelle parole: “Io sono
glorificato in loro”. Poi, a mano a mano che entrava nella preghiera, comprese
che Gesù condivideva con i suoi la gloria, la vita divina che il Padre e il
Figlio si scambiavano, al punto da diventare la gloria e la vita dei suoi
discepoli, coinvolti nel circolo d’amore trinitario.
Resi così partecipi di quella vita fatta d’amore
reciproco e d’unità, l’avrebbero irradiata nel mondo e dunque avrebbero reso
gloria al Figlio, che viveva in loro e tra loro, testimoniandolo: essi
avrebbero continuato la sua missione.
Apa Pafnunzio si era ritirato nella solitudine del
deserto proprio come aveva fatto Gesù, ma tante volte si era chiesto se avrebbe
mai potuto intessere il dialogo con il Padre con l’intensità che Gesù
sperimentava solitarie nelle notti di preghiera. Ora non se lo chiedeva più: sapeva
che “tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, perché Tu, sei in me e io
in te… Noi siamo una cosa sola”. Lui, peccatore, con le sue povere forze, non
poteva certo sognarsi di raggiungere il Padre, troppo lontano. Ma in Gesù
quella comunione era già realtà.
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