Nella
circolarità della sua preghiera al Padre Gesù continuava a parlare del mondo.
Egli
era venuto nel mondo perché il Padre amava talmente il mondo da mandare il suo
Figlio nel mondo. La missione che il Padre gli aveva affidato era salvare il
mondo.
Eppure
Gesù avvertiva la forte resistenza del mondo alla sua Parola. Egli era la Luce
venuta per illuminare il mondo, eppure parte del mondo faceva scudo alla sua
luce e preferiva rimanere nella tenebra.
Due mondi si contrapponevano, quello
di coloro che accoglievano Gesù ed erano salvati, quello di coloro che non lo
accoglievano ed erano condannati; il mondo che entrava nella luce portata da
Gesù e il mondo che rimaneva nella tenebra.
Apa Pafnunzio ripetendo e ripetendo a
memoria il Vangelo di Giovanni aveva ben compreso i diversi significati nella
parola mondo. Quello che non riusciva a capire era lo scacco subito da Gesù con
Giuda.
Gesù aveva custodito quelli che il
Padre gli aveva affidato; li aveva custoditi tutti. No, non tutti, uno gli era
scappato: “Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione”,
il figlio che, nonostante tutte le sue cure, si era perso. Si poteva dunque
accogliere la luce, esserne illuminati e poi ricadere nelle tenebre? Gli sembrava
impossibile, come doveva essere parso impossibile allo stesso Gesù. Era per lo
meno incomprensibile, nonostante tutte le spiegazioni che apparivano qua e là
nei Vangeli, nessuna delle quali convincenti.
Poco prima, durante la cena, al
pensiero del tradimento, Gesù si era turbato, anzi il Vangelo lo diceva “profondamente
turbato”. Come poteva essere altrimenti.
Anche apa Pafnunzio era turbato ogni
volta che leggeva di quel tradimento. Dunque si poteva essere stati con Gesù,
illuminati dalla sua luce, e poi tornare nel buio: “Egli, preso il boccone,
subito uscì. Ed era notte”.
“Il Padre ci custodirà, il Figlio ci
ha custodito – continuava a ripetersi apa Pafnunzio – eppure uno di noi si è
perduto. Non potrei perdermi anch’io, rifiutando l’amore e la custodia premurosa
di Dio?” Si rese conto di quanto fosse esigente l’adesione a Gesù e di quanto
occorreva vigilare per non essere succubi del male. Non ci aveva insegnato Gesù
stesso a pregare ogni giorno: “Padre… liberaci dal Maligno?”.
Con quel turbamento nel cuore apa
Pafnunzio continuò la recita della preghiera sacerdotale di Gesù. Con grande
meraviglia, subito dopo la costatazione che uno si era perduto, apa Pafnunzio
sentì che Gesù chiede al Padre per i suoi la pienezza della gioia. Che
contrasto tra turbamento e gioia.
Si ricordò allora le parole di Neemia: “La gioia del
Signore è la vostra forza”. Che fosse questo
il segreto? Lasciarsi inondare dalla gioia di Gesù? Proprio durante la cena
Gesù aveva appena promesso la sua gioia. “Sì, si ripeté apa Pafnunzio, devo
lasciarmi inondare il cuore della gioia di Gesù. Col Dio nel cuore si è sempre
in festa, anche nel dolore, e l’amore è più forte della morte: La gioia del Signore è la vostra
forza”.
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