Apa Pafnunzio si commosse al pensiero che Gesù prega il Padre di custodire i suoi discepoli. Quell’ultima sera Gesù continuava a ripetere quella parola: “custodire”. Fino a quel momento era stato lui a custodire i discepoli. Aveva compiuto fino in fondo la missione che il Padre gli aveva affidato. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato – aveva affermato nella sinagoga di Cafarnao –: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato”. Pochi momenti dopo la sua preghiera, Gesù aveva posto il gesto estremo in difesa dei suoi, consegnandosi nelle mani dei nemici e ottenendo che loro fossero lasciati liberi. “Se dunque cercate me – aveva detto alle guardie nell’orto degli ulivi –, lasciate che questi se ne vadano”.
Com’era denso quel verbo che Gesù continuava a
ripetere nella sua preghiera: custodire è vigilanza responsabile, è sorvegliare con amore e premura, è prendersi cura con tenerezza, è provvedere ad
ogni necessità, è preservare dai
pericoli, dalle tentazioni… Tutto questo aveva fatto Gesù come pastore buono,
nel tempo che era stato con i suoi.
Ma ora egli se ne stava andando, tornava al Padre
dal quale era venuto, e stava in ansia per i suoi discepoli. Sapeva le mille
difficoltà che li attendevano. A chi avrebbe potuto affidarli se non allo
stesso suo Padre? Stava a lui adesso custodirli dal Maligno e da tutte le
ostilità del mondo: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome… Ti prego che tu li
costudisca dal Maligno”.
“Gesù ha pregato per noi, per me – continuava a
ripetersi apa Pafnunzio. Anche se sono perduto in questo deserto, anche se
tante volte mi sento solo e indifeso davanti alle prove della vita, non sono solo
e indifeso: sono custodito dal Padre. Vuoi che il Padre non ascolti la supplica
del Figlio suo? Sono un suo raccomandato! Di cosa posso se sono
custodito dal Padre?”
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