giovedì 13 settembre 2012

Dopo il Concilio: stanchezza o profezia?


Il clima di grande apertura, di rinnovamento, di speranza in quella Chiesa dei poveri che Papa Giovanni annunciava è ancora vivo? La Chiesa di oggi, e in essa la vita consacrata, continuano ad essere animati dalla Pentecoste conciliare? Se confrontiamo le attese del giovane Carlo Martini con la sua ultima intervista, appare evidente un grande divario: «La Chiesa è stanca, nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi… La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?».
Nello stesso tempo non si possono ignorare i frutti maturati nella stagione post-conciliare. In maniera meno appariscente degli anni Settanta, il rinnovamento è proseguito con tenacia, grazie anche al lungo e coraggioso magistero di Giovanni Paolo II. La Parola di Dio è tornata ad essere pane quotidiano, la coscienza di appartenere insieme a un unico popolo di Dio è acquisita, il dialogo ecumenico, interreligioso, con la società contemporanea si è affermato, sono nati nuovi gruppi carismatici, si sono aperte nuove strade della carità e del servizio…
Quello che è cambiato è il contesto sociale. Nuove guerre, terrorismo, instabilità politica, sfiducia nelle istituzioni, recessione economica, relativismo morale, scandali all’interno della Chiesa stanno creando un clima di incertezza, sfiducia, pessimismo, mancanza di progettualità e di volontà di ripresa. Sembra di essere agli antipodi rispetto ai tempi del Concilio.
Non è proprio questa la situazione più propizia perché le comunità cristiane tornino a compiere la sua missione profetica, si renda nuovamente capace di parlare di Dio, di annunciare la “buona notizia”, di infondere speranza, di ridare senso alla vita, di additare la meta della storia umana?

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