Un braccio di mare e siamo a Carloforte, sull’isola degli
sparvieri, come la chiamavano i Romani, sull’Isola di san Pietro, come si
chiama adesso a ricordo di una tradizione che vorrebbe che l’apostolo Pietro,
durante i suoi viaggi, sia passato da queste parti (cosa non si farebbe per
avere la propria terra segnata da un apostolo…).
L’unico paese dell’isola prende il nome dal re Carlo
Emanuele III di Savoia, che si adoperò per ripopolare il territorio, e la
chiesa è dedicata a san Carlo Borromeo, ma è in corso un plebiscito per
lasciare i nomi, ma dedicando isola e chiesa a don Carlo, la guida d’eccezione
che mi accompagna e personaggio notissimo. Parroco qui per 15 anni, ha lasciato
l’isola da 19 anni, ma muoversi per il paese è assai problematico, ad ogni
angolo saluti, abbracci, baci… A cominciare da Portovesme: già salendo sulla
nave marinai e ufficiali si mettono sugli attenti davanti al vecchio parroco
che li ha battezzati, sposati, è stato loro professore di religione… Trovo così
posto nella cabina di comando, accanto al timoniere e al capitano e mi godo da lì
la traversata con tutte le spiegazioni sulla rotta e le manovre.
A Carloforte ci attendono naturalmente con la macchina e
inizia il viaggio nell’isola. Non manca il ricordo del naufragio su queste
coste della crociata dei bambini nel 1212, della colonizzazione nel 1738 da
parte dei Genovesi provenienti dall’isolotto di Tabarka davanti a Tunisi,
dell’incursione piratesca del 1798 quando 500 abitanti dell’isola furono
condotti schiavi in Tunisia, del loro ritorno con la Madonna degli schiavi…
Ma sulla storia qui è la natura che la vince, con le sue
splendide spiagge, le scogliere, le cale, gli orridi, le grotte a mare… Anche
la campagna, dove ogni Carlofortino ha una casetta e un pezzo di terra, con le
vigne e gli orti, possiede un fascino tutto mediterraneo. Mi portano a vedere i
bambini che pestano l’uva nel tino, lo spillare del primo mosto, e mi fanno
assaggiare le dolci uve bianche, il tonno rosso alla carlofortina, il vino del
Sulcis…
Ed ecco ancora le saline, i fenicotteri rosa, il faro
solitario…
Poi torna di nuovo la storia recente che ha visto per un
secolo l’approdo sulle bilancelle, le barche caratteristiche del luogo (ne vedo
passare una vecchia di più di 200 anni!), del minerale dalle miniere della
Sardegna e il carico sulle grosse navi; la storia appassionante della tonnara…
Il tutto raccontato in un antico dialetto genovese che per me, povero
straniero, abbisogna di traduzione.
Riparto con gli occhi pieni di colori, di paesaggi… ma
soprattutto con la gioia di avere incontrato delle persone accoglientissime,
esperte di mare, ma soprattutto di ospitalità.
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