sabato 16 marzo 2024

Vogliamo vedere Gesù

Tanti lo cercano e non sanno come incontrarlo. Altri lo cercano e non lo sanno. Altri bussano a porte sbagliate…

Se qualcuno venisse da me e mi domandasse di farglielo incontrare dove lo condurrei, cosa gli direi? A chi voleva conoscerlo Gesù si è mostrato nel momento più alto della sua esistenza, nel gesto dell’amore estremo, quando ha accettato di morire per farci vivere. È il chicco di grano che muore per moltiplicarsi e rendersi nuovamente presente in mille e mille persone, spiga feconda che raccoglie in unità l’umanità intera e la rende figlia di Dio.

Se qualcuno mi chiedesse di vederlo dovrei indicare il Crocifisso, il segno del cristianesimo. Nei primi secoli i cristiani non hanno osato raffigurarlo sulla croce perché immagine troppo crudele, maledizione, follia. Abbiamo dovuto aspettare il IV secolo per vedere la prima scultura di un crocifisso, sulla porta lignea di santa Sabina a Roma. Soltanto Paolo, davanti ai Galati, ha avuto il coraggio di mostrarlo crocifisso.

Ha fatto paura anche a Gesù, la croce. Non era un ninnolo da appendere al collo, ma strumento di tortura e di morte infame su cui essere appesi. Qui Giovanni accenna appena al turbamento che Gesù ha provato davanti al pensiero di quella morte. Gli altri evangelisti saranno più espliciti quando racconteranno della sua angoscia nell’orto degli ulivi e la Lettera agli ebrei dirà delle forti grida e lacrime con cui si rivolse a Dio che avrebbe potuto salvarlo da morte. Eppure nel vangelo di oggi, come più tardi nell’orto degli ulivi, Gesù abbraccia con coraggio il volere del Padre, pur nella consapevolezza del tormento che avrebbe vissuto.

Se qualcuno mi domandasse di vederlo mostrerei il Crocifisso e gli direi che è l’espressione massima dell’amore, gli direi cos’è il vero amore: dare la vita per le persone amate, anche per quelle che non amano, morire al posto loro.

Se qualcuno mi chiedesse di vederlo… dovrebbe vederlo in me, perché dovrei seguirlo fino ad essere uno con lui. Dovrei poter ripetere, come Paolo, che il mio vivere è Cristo: non più io vivo, ma lui vivi in me. Mentre mi svela la sua vita – chicco di grano che non pensa a conservare la vita, ma la perde per dare frutto – mi invita a fare altrettanto, a perdere la mia vita per vivere il suo stesso destino, a seguirlo fino ad essere “cristiano”, come lui, un altro lui.

Anche a noi è concesso di essere turbato come lui, di gridare come lui ha gridato. Ma seguendolo, anche a noi darà la forza per accogliere il volere del Padre, per credere che tutto è amore, anche il dolore e la morte. Così in noi parlerà l’amore, la pienezza della vita, e apparirà solo Gesù che vive in noi.

Se qualcuno mi chiedesse di vederti dovrei mettermi d’accordo con i miei amici, come hanno fatto Filippo e Andrea. Gli farei vedere la spiga a cui ha dato vita, la fratellanza che ha generato tra di noi. Insieme sarà più facile mostrarlo, presente nel nostro “ac-cordo”, nell’unità dei cuori, nella comunità di quanti sono uniti nel suo nome.

 

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