Oggi mi hanno mandato un testo che avrei scritto io
prendendo spunto dall’omelia pronunciata l’anno scorso da Papa Francesco nel
mercoledì delle ceneri, quando ricordava le tre grandi vie per il cammino
della Quaresima: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Non ricordavo di
aver scritto questa pagina, ma la rileggo pensando al Vangelo della terza
domenica di Quaresima, quando Gesù caccia i mercanti dal tempio perché esso
torni ad essere luogo di preghiera.
L’elemosina, la preghiera e il digiuno. Tre parole desuete, che non compaiono più nel
nostro vocabolario; sono ben altre le parole che riecheggiano e gli interessi che
si esibiscono attorno a noi. Eppure per il papa esse indicano atteggiamenti e
azioni che possono «ravvivare le nostre relazioni con Dio e con gli altri:
per aprirci nel silenzio alla preghiera e uscire dalla fortezza del nostro io
chiuso, per spezzare le catene dell’individualismo e dell’isolamento e
riscoprire, attraverso l’incontro e l’ascolto, chi ci cammina accanto ogni
giorno, e reimparare ad amarlo come fratello o sorella». «La preghiera –
continua il papa – non è ritualità, ma dialogo di verità e amore con il Padre (…)
la preghiera darà voce al nostro intimo desiderio di incontrare il Padre,
facendoci ritornare a Lui (…). Mettiamoci in cammino nella preghiera: ci sono
dati quaranta giorni favorevoli per ridare a Dio il primato nella vita, per
rimetterci a dialogare con Lui con tutto il cuore, non nei ritagli di tempo».
La preghiera come dimensione di vita, essere
presenti a Dio, avvertire la sua presenza accanto a noi, un rapporto più che
ripetizione di formule. Senza necessità di una chiesa o del silenzio. Anche
camminando in centro città, tra il chiasso e i richiami delle vetrine e della
gente che passa.
Proprio camminando per Roma questi giorni ho
riletto un brano di diario di Chiara Lubich che mi sembrava di vedere
passeggiare ancora per quelle strade: «Qualcuno mi chiama con veemenza in fondo
all’anima ad unirmi a Sé. Sei Tu, mio Dio, al cui pensiero anche in mezzo a Via
Veneto, a Corso d’Italia, dovunque, mi si commuove l’anima fino nel profondo. E
c’è un’oasi in essa, che m’attira come l’unico regno di pace, d’amore... ma
così diversa, così diversa dal resto! Mi chiami, mi richiami, mi attiri, mi
vuoi! Come sei il Solo per l’anima, quando l’anima è in questa disposizione!».
Parole scritte quasi 60 anni fa, eppure mi parlano ancora e m’invitano a
immergermi in questa presenza.
Eppure un simile colloquio costante, che sembrerebbe
così spontaneo, non s’improvvisa. Per avviarlo e incrementarlo in questo
tempo di Quaresima occorre fermarsi, “raccogliersi”, come si diceva una volta,
entrare in una chiesa, o chiudere gli occhi, disconnettersi per un attimo dal
vortice telematico, far tacere i richiami ossessivi da cui siamo circondati,
per ricordarci, sempre come si diceva una volta, da dove veniamo e dove andiamo,
che abbiamo un Padre che ci guarda con amore e pensa a noi, uno straordinario
silenzioso compagno di viaggio che si chiama Gesù, una madre premurosa,
silenziosa e discreta che veglia su di noi...
La preghiera, la grande preghiera come condivisione
di vita ed espressione di amore, richiede le preghiere, le piccole
preghiere, fatte di formule imparate da bambini o di formule nuove, che
abbiamo raccolto nella vita o che possiamo inventare con la creatività di chi è
innamorato: “Ti voglio bene”, “Grazie del tuo infinito amore”, “Sei il mio
tutto”, “Ho bisogno di te”... Poi si riaprono gli occhi, si esce dalla stanza,
dalla chiesa e si rivede la realtà di sempre, si incontrano le solite persone,
niente è cambiato. E tutto è cambiato. È cambiato lo sguardo, che ci fa vedere
tutti e tutto nuovo e ci ritroviamo con una freschezza, con una forza… Altro
che Quaresima, è già Pasqua!
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