mercoledì 27 marzo 2024

Giovedì Santo: le quattro realtà inscindibili

Il Giovedì santo è caratterizzato dall’istituzione dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…”, e del sacerdozio: “Fate questo in memoria di me”. Come mai allora la liturgia in questo giorno non ci fa leggere questo racconto, comune ai tre Vangeli sinottici, e invece, seguendo il Vangelo di Giovanni, ci fa leggere il racconto della lavanda dei piedi?

Perché c’è un legame profondo tra l’Eucaristia e la lavanda dei piedi. La lavanda dei piedi è la spiegazione del significato ultimo dell’Eucaristia.

Gesù inizia col togliersi la veste. Per indicare tale azione Giovanni usa un verbo inusuale, tìthēmi, “depose”, lo stesso che Gesù aveva impiegato per parlare del buon pastore che “dà” (tìthēmi) la vita e per parlare di sé quando aveva detto che la vita non gliela avrebbe tolta nessuno, perché egli stesso l’avrebbe “data” (tìthēmi) da sé (cf. Gv 10, 11-18). Ora dà la vita dandosi nell’Eucaristia, segno del dono totale di sé sulla croce.

Per introdurre questo gesto della lavanda dei piedi, così povero e feriale, Giovanni riserva un’intonazione solennissima: «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava...». Quel gesto è rivelatore del grande evento a cui Gesù, in obbedienza al Padre, sta dando compimento: con la sua morte e risurrezione lava i peccati del mondo. La lavanda dei piedi non è un atto isolato nella sua vita, è il simbolo dell’intera vita di Gesù: è venuto non per essere servito ma per servire (cf. Mc 10, 45). Anche i Sinottici, pur non raccontando la lavanda dei piedi, nella narrazione dell’ultima cena riportano le parole che la interpretano: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 25-27).

Il gesto di Gesù non è soltanto un esempio, è anche un comando: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13, 14-15).

C’è dunque anche un legame profondo tra il sacerdozio ministeriale e la lavanda dei piedi: la lavanda dei piedi è la spiegazione del significato profondo del sacerdozio ministeriale e l'indicazione di come esso deve essere esercitato.

Il comandamento di Gesù, “fate questo in memoria di me”, va sempre affiancato dal comandamento “lavatevi i piedi gli uni gli altri”. Il sacerdote per fare l’Eucaristia in memoria di Gesù deve indossare la stola, e per fare la lavanda in memoria di Gesù deve cingersi dell’asciugamano. Sono le due vesti liturgiche che è chiamato a rivestire, mai l’una senza l’altra, come sono inscindibili liturgia e carità. Allora mostrerà la grandezza della sua vocazione ed agirà “in persona Christi”, dando come lui la vita per il gregge, continuando la sua missione di Maestro e di Pastore. Così i presbiteri diventano «strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera» (Presbyterorum ordinis 12).

Il comandamento di Gesù, “fate questo in memoria di me”, va inoltre sempre affiancato all’altro comandamento dell’ultima cena: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Non si può fare l'Eucaristia se contemporaneamente non "si fa" l'amore reciproco, di cui la lavanda dei piedi è una parabola.

Lavare i piedi agli ospiti, si sa, era un gesto umile, riservato ai servi. Gesù lo fa assurgere a espressione di ogni tipo di servizio e di attenzione verso l’altro. Se egli ha dato la vita per noi – e l’amore consiste proprio in questo – «anche noi – conclude Giovanni – dobbiamo dare la vita per i fratelli… non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3, 16.18).

Eucaristia, sacerdozio, lavanda dei piedi, amore reciproco: realtà inscindibili l’una dall’altra. Sono queste che fanno il Giovedì santo.

Riguardano soltanto i presbiteri? Mio papà Leonello era convinto che riguardassero tutti! Era estasiato all’idea che anche lui, semplice laico, fosse coinvolto da Gesù nella sua missione. Scriveva: «Gesù non poté fare da solo l’opera della redenzione, ma tutta la Sua vita fu coinvolta col popolo e tutti furono protagonisti, chi in bene chi in male. Dicendo “fate questo in memoria di me”, vuole coinvolgere anche noi nella Sua opera redentrice. Ha bisogno di Apostoli per la diffusione del Suo Regno in ogni parte del mondo; di anime che lo ascoltano, lo comprendono, lo amano, lo consolano nell’angoscia: “Restate qui e vegliate con Me”. Allora aveva bisogno di Pietro, Giacomo e Giovanni, oggi ha bisogno di noi. Noi siamo Pietro, Giacomo e Giovanni…»

Nella cena eucaristica il presbitero prende il pane e il vino e, in sua memoria, ne ripete i gesti e le parole, ma ognuno dei commensali, a sua volta, deve ripetere ciò che il Signore ha fatto, deve donarsi a tutti, in sua “memoria”. Se davvero l’eucaristia ci fa Cristo, altri lui, allora siamo chiamati anche noi a diventare per gli altri pane spezzato, pane donato. Chi si asside alla mensa eucaristica deve poter dire, a quanti incontra: io sono “per te”. La chiamata è ad amare con l’amore stesso di Cristo che «ci amò e consegnò se stesso per noi, offerta e vittima a Dio in odore di soavità» (Ef 5, 2).

 

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