Il Giovedì santo è caratterizzato
dall’istituzione dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo… questo è il mio
sangue…”, e del sacerdozio: “Fate questo in memoria di me”. Come mai allora la
liturgia in questo giorno non ci fa leggere questo racconto, comune ai tre
Vangeli sinottici, e invece, seguendo il Vangelo di Giovanni, ci fa leggere il
racconto della lavanda dei piedi?
Perché c’è un legame
profondo tra l’Eucaristia e la lavanda dei piedi. La lavanda dei piedi è la
spiegazione del significato ultimo dell’Eucaristia.
Gesù inizia col togliersi la veste. Per indicare tale azione Giovanni usa
un verbo inusuale, tìthēmi, “depose”,
lo stesso che Gesù aveva impiegato per parlare del buon pastore che “dà” (tìthēmi) la vita e per parlare di sé
quando aveva detto che la vita non gliela avrebbe tolta nessuno, perché egli
stesso l’avrebbe “data” (tìthēmi) da
sé (cf. Gv 10, 11-18). Ora dà la vita
dandosi nell’Eucaristia, segno del dono totale di sé sulla croce.
Per introdurre questo gesto della lavanda dei piedi, così povero e feriale,
Giovanni riserva un’intonazione solennissima: «sapendo che il Padre gli aveva
dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava...». Quel
gesto è rivelatore del grande evento a cui Gesù, in obbedienza al Padre, sta
dando compimento: con la sua morte e risurrezione lava i peccati del mondo.
La lavanda dei piedi non è un atto
isolato nella sua vita, è il simbolo dell’intera vita di Gesù: è venuto non per
essere servito ma per servire (cf. Mc
10, 45). Anche i Sinottici, pur non raccontando la lavanda dei piedi, nella
narrazione dell’ultima cena riportano le parole che la interpretano: «Io sto in
mezzo a voi come colui che serve» (Lc
22, 25-27).
Il gesto di Gesù non è soltanto un
esempio, è anche un comando: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche
voi dovete lavare i piedi gli uni
agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13, 14-15).
C’è dunque anche un legame
profondo tra il sacerdozio ministeriale e la lavanda dei piedi: la lavanda dei
piedi è la spiegazione del significato profondo del sacerdozio ministeriale e l'indicazione di come esso deve essere esercitato.
Il comandamento di Gesù, “fate questo in memoria di me”, va
sempre affiancato dal comandamento “lavatevi i piedi gli uni gli altri”. Il
sacerdote per fare l’Eucaristia in memoria di Gesù deve indossare la stola, e
per fare la lavanda in memoria di Gesù deve cingersi dell’asciugamano. Sono le
due vesti liturgiche che è chiamato a rivestire, mai l’una senza l’altra, come
sono inscindibili liturgia e carità. Allora mostrerà la grandezza della sua
vocazione ed agirà “in persona Christi”, dando come lui la vita per il gregge,
continuando la sua missione di Maestro e di Pastore. Così i presbiteri
diventano «strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo
la sua mirabile opera» (Presbyterorum
ordinis 12).
Il comandamento di Gesù, “fate questo in memoria di me”, va inoltre
sempre affiancato all’altro comandamento dell’ultima cena: “amatevi gli uni gli
altri come io ho amato voi”. Non si può fare l'Eucaristia se contemporaneamente non "si fa" l'amore reciproco, di cui la lavanda dei piedi è una parabola.
Lavare i piedi agli ospiti, si sa, era un gesto umile, riservato ai servi.
Gesù lo fa assurgere a espressione di ogni tipo di servizio e di attenzione verso
l’altro. Se egli ha dato la vita per noi – e l’amore consiste proprio in questo
– «anche noi – conclude Giovanni – dobbiamo dare la vita per i fratelli… non
amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3, 16.18).
Eucaristia, sacerdozio, lavanda dei piedi, amore reciproco:
realtà inscindibili l’una dall’altra. Sono queste
che fanno il Giovedì santo.
Riguardano soltanto i presbiteri? Mio papà Leonello era
convinto che riguardassero tutti! Era
estasiato all’idea che anche lui, semplice laico, fosse coinvolto da Gesù nella
sua missione. Scriveva: «Gesù
non poté fare da solo l’opera della redenzione, ma tutta la Sua vita fu
coinvolta col popolo e tutti furono protagonisti, chi in bene chi in male. Dicendo
“fate questo in memoria di me”, vuole coinvolgere anche noi nella Sua opera
redentrice. Ha bisogno di Apostoli per la diffusione del Suo Regno in ogni
parte del mondo; di anime che lo ascoltano, lo comprendono, lo amano, lo
consolano nell’angoscia: “Restate qui e vegliate con Me”. Allora aveva bisogno
di Pietro, Giacomo e Giovanni, oggi ha bisogno di noi. Noi siamo Pietro,
Giacomo e Giovanni…»
Nella cena eucaristica il presbitero prende il pane e il
vino e, in sua memoria, ne ripete i gesti e le parole, ma ognuno dei
commensali, a sua volta, deve ripetere ciò che il Signore ha fatto, deve
donarsi a tutti, in sua “memoria”. Se davvero l’eucaristia ci fa Cristo,
altri lui, allora siamo chiamati anche noi a diventare per gli altri pane
spezzato, pane donato. Chi si asside alla mensa eucaristica deve poter dire, a
quanti incontra: io sono “per te”. La chiamata è ad amare con l’amore stesso di
Cristo che «ci
amò e consegnò se stesso per noi, offerta e vittima a Dio in odore di soavità»
(Ef 5, 2).
Nessun commento:
Posta un commento