«Stamane abbiamo attraversato Liverpool. Le due cattedrali, una,
l’anglicana, ultimata, l’altra, cattolica, in via di costruzione, sono legate
fra loro da Hope street, la via della Speranza. Abbiamo fatto la visita al
Santissimo in una graziosa cappellina dedicata a Maria Santissima, situata
sotto la cattedrale cattolica. In questa fredda e grigia Inghilterra... abbiamo
affidato la nostra missione alla Vergine... Il Vangelo di oggi diceva che se
abbiamo fede “si sposteranno le montagne”. Liverpool è la città dove la lotta
religiosa è stata accanita. E proprio qui incomincia il nostro lavoro
ecumenico. Abbiamo chiesto che la montagna dell’incomprensione si spostasse».
Così Chiara Lubich annota nel diario del 17 novembre 1965. A
sera, nella cattedrale anglicana, racconta la “storia dell’Ideale”, la storia sua
e degli inizi del suo Movimento. Al termine il “decano”, che fa gli onori di
casa, propone di intrattenersi ancora per un dialogo con i presenti. Nel
frattempo invita a prendere un caffè... ma occorre attendere qualche minuto:
“So che le persone addette erano così emozionate dal discorso che non hanno
potuto ancora preparare il caffè. E questo è buon segno”.
Al termine della riunione il Reverendo Pugh, rivolgendosi a
Chiara, conclude: «Come mai lei è venuta in Inghilterra? Non per conquistarci a
Roma, ma per conquistarci a Cristo, cosicché diventiamo migliori anglicani, e
poiché siamo migliori cristiani e migliori anglicani, siamo anche più vicini
gli uni agli altri».
Il giorno seguente Chiara tiene una conversazione in cui
tratteggia la via per l’unità. Eccone uno stralcio.
Gesù abbandonato è
stato per noi la chiave che rimetteva l'unità fra noi quando si era spezzata.
Ma questo lo sperimentiamo tutti i giorni, nella nostra famiglia, nelle scuole,
dove abitiamo, che non sempre c'è quell'unità soprannaturale per cui possiamo
dire che Gesù è in mezzo a noi... E
allora quella pienezza di gioia che ci aveva data l'unità, che è quella
pienezza di gioia che Gesù promette nel suo testamento, veniva meno e sulla
nostra piccola comunità sembrava che il sole tramontasse e tutto perdeva
sapore, senso. E allora che cosa facevamo? Ci ricordavamo di Lui... Dio non era
tutto per lui? Era lui stesso Dio. Eppure sulla croce perde il senso di essere
Dio, sempre come uomo. Anche per lui era tramontato il sole. Allora andavamo dentro
di noi e dicevamo: questo è Gesù abbandonato, questo è un dolore come quello di
Gesù abbandonato. Si abbracciava quel dolore e ci si rimetteva in unità, ci si
ributtava ad amare... E noi dicevamo: non possiamo vivere se Cristo non è in
mezzo a noi, allora rimettiamoci, ricominciamo. E tornava il sole e col sole
Gesù e risentivamo la vita e la vita s'irradiava attorno...
Lui è stato sempre la
luce per noi ed è stato lui a farci capire anche altri dolori che erano oltre
il nostro Movimento: i dolori della Chiesa. Così anche quando si pensava a
tutte queste Chiese separate dalla Chiesa di Roma, ogni volta che si pensava
alla divisione, alla separazione era ricordarci di Lui che si sentì separato
dal Padre... Ha provato la divisione per riunire noi al Padre... Eravamo sicuri
che con l'amore a Lui che si traduceva in un amore verso questi fratelli, Lui
ci avrebbe condotti alla riunificazione, seguendo i disegni di Dio.
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