Gesù «ne
costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare…» (Marco 3,13-19). È quello che è accaduto anche oggi, nella
nostra cappella. E questa volta ne ha chiamati più di 12.
«Ed
essi vennero a lui» – pros autón,
presso di lui, dove pros sta ad
indicare una intimità che viene a crearsi. La condizione dei Dodici è mutata,
non sono più tra la folla.
Ora sono attorno a Gesù. Il movimento fisico che li fa passare dalla folla a
Gesù è indice di una radicale trasformazione dei loro rapporti con il Maestro.
Ormai la loro identità è data dallo stare con lui. Infatti li ha chiamati a sé
perché stessero con lui, perché avessero con lui una relazione stabile,
permanente, esclusiva, che si traduce in una comunanza fisica di vita: l'uso
del verbo essere e il suo impiego al congiuntivo: hina osin, indicano la stabilità: “affinché stessero stabilmente
con lui”.
Questa
relazione fisica fa intravedere un più profondo atteggiamento interiore che
Giovanni nel suo Vangelo traduce con “essere”, “dimorare”, “rimanere” reciproco
tra Cristo e i discepoli, che introduce a sua volta nel rapporto di intimità
ineffabile che unisce il Figlio al Padre.
Anche i nostri giovani che questa mattina hanno rinnovato dei loro voti, “stanno” con Gesù. È una scelta gratuita, quella che Gesù fa di loro, perché li ama , li pensa , li “sogna” da sempre. Con la sua chiamata Gesù rivela l’amore infinito ed eterno che Dio ha per ognuno di noi. Sì, “stare” con lui.
Dopo la chiamata i Dodici camminano
con lui, mangiano con lui, riposano con lui, ascoltano le sue parole,
condividono il suo stesso destino… Il loro primo compito non è dunque andare a
predicare, ma “stare” con Gesù! Stare: non un episodio passeggero o saltuario;
un’autentica comunione di vita, che diventa conoscenza profonda, intimità… Il
rapporto è reciproco: Gesù sta, è, dimora, rimane con i discepoli e i discepoli
a loro volta sono chiamati a stare, dimorare, rimanere con lui.
E li manda…
Se il nostro agire apostolico vuole essere l’agire di Cristo,
dobbiamo vivere l’essere in Cristo, la docilità al suo Spirito. Prima di
mandare Gesù vuole dunque essere sicuro che colui che è “mandato” sia strettamente
legato alla sua persona, perché la missione che gli affida – la sua stessa
missione – è lui stesso a compierla. Per portar frutto occorre essere
pienamente innestati in lui come un tralcio nella vite (cf. Gv 15, 1-8).
Per essere missionari… occorre essere Oblati!
Nessun commento:
Posta un commento