Il 20 Novembre 1947 Pio XII
firmava l’enciclica
Mediator Dei nella quale faceva proprio il rinnovamento liturgico in
atto da più di mezzo secolo e lo promuoveva con decisione. Ricordava che la
partecipazione al Sacrificio Eucaristico
richiedeva un «intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l’Apostolo:
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, offrendo con
Lui e per Lui, santificandosi con Lui”». Invitava dunque di desiderare «con
ardore di divenire intimamente simili a Gesù Cristo fino a ripetere con Paolo: “sono confitto con Cristo in Croce”». È così,
che «diventiamo, insieme con l’Ostia
immacolata, una vittima a Dio Padre gradita».
Avrà letto Chiara Lubich l’enciclica? Sicuramente ne avrà
conosciuto il contenuto poiché in quel periodo essa ebbe una vasta eco nella
predicazione della Chiesa cattolica. Quanto ella scrive il 6 settembre 1949
sembra mettere in risalto il messaggio centrale dell’enciclica. Lo fa però
partendo dalla propria esperienza che la vede, ogni giorno, fedele alla
partecipazione alla Messa, alla comunione, alla visita serale al Santissimo
Sacramento. È un commento che nasce da una esperienza mistica e per questo
profondamente dottrinale.
L’immagine della goccia d’acqua che si perde nel vino, che si fa vino e che con il vino diventa sangue di Cristo le dà modo di appropriarsi del termine tecnico di “transustanziazione”: come pane e vino perdono la loro “sostanza”, la loro identità, per diventare veramente il corpo e il sangue di Cristo, così in chi si ciba dell’Eucaristia avviene la medesima profonda trasformazione – come spiega lei stessa commentando questo testo nelle parole che riportiamo tra parentesi quadre. È soltanto l’avvio di una comprensione sempre più profonda e della condivisione di un’esperienza che mostra Chiara Lubich immedesimata non soltanto con il Cristo Gesù ma anche, grazie a questa immedesimazione, con l’umanità intera: attualizza il mistero dell’Eucaristia, vita del mondo.
6 settembre 1949
La goccia d’acqua messa nel calice ed aggiunta al vino sarà
fatta Sangue col vino. E siamo noi: noi fatti Sangue: noi offerti - perché
tramutati, transustanziati in Dio sull’altare [uso il termine “transustanziati”
perché non ne trovo altri che esprimano adeguatamente la profonda
trasformazione che avviene di noi in Dio, cioè il nostro essere
misteriosamente, ma realmente divinizzati].
Se noi viviamo quest’Unità, questi Cieli, se siamo ad esempio
come ora Gesù Abbandonato (o la Desolata formante in noi Gesù Abbandonato),
allora realmente misticamente siamo offerti su tutti gli altari della terra
ogni giorno [Siamo offerti così con Cristo perché, vivendo questa realtà, siamo
uno con Lui]!!
Possiamo vedere in quell’Ostia Santa ed in quel Preziosissimo
Sangue: NOI [Perché siamo Cristo nel Cristo, che comprende e capo e membra]. IO
offerta al Padre, io che muoio sulla Croce sul Calvario.
È tutta una visione nuova perciò della S. Messa. Non siamo
solo ai piedi della Croce, con la Mamma e la Maddalena: siamo lassù, sulla
Croce, gridanti l'abbandono. In quel grido è la nostra voce! Noi veramente
viviamo Gesù e Gesù ci vive. Il “vivimi tutta, mio Amore!”, che Gli dicevamo, è
fatto. E noi a Lui: “Ti vivo tutto”.
Io sento di vivere in me tutte le creature del mondo, tutta
la Comunione dei santi. Realmente: perché il mio io è l’umanità con tutti gli
uomini che furono sono e saranno. La sento e la vivo questa realtà: perché
sento nell’anima mia sia il gaudio del Cielo, sia l’angoscia dell’umanità che è
tutt’un grande Gesù Abbandonato. E voglio viverLo tutto questo Gesù
Abbandonato. Lo vivo aggiungendo la goccia del mio dolore del momento (che è la
mia vita, di me fatta: Dolore come Lui) al suo: ma già vivendo Lui io lo vivo
tutto il Dolore. Infatti vivo godendo del nulla che sono a differenza di Dio.
Dunque vivo Dio intero. Gesù è nuovamente sulla terra in me: e tutto ciò perché
sono entrata nel Regno dei Cieli (per il patto famoso d'Unità a Primiero).
Quindi è Lui che vive in me: Lui che gode, Lui che soffre e la mia vita frutta
la Redenzione del genere umano. Grazie, Gesù mio! Quale felicità.
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