Casualmente proprio oggi ritrovo una
lunga relazione che ho tenuto quarant’anni fa, esattamente il 9 settembre
1982, a un Convegno sulla parrocchia oblata, che si svolgeva a Villa Cavalletti
a Frascati. Leggendola mi rendo conto di quanto fossi giovane e con grandi
utopie, tipiche dei giovani.
Riporto soltanto i tratti che allora
mi sembravano dovessero caratterizzare una parrocchia che volesse attualizzare
la missione propria del carisma oblato:
1. Essa deve essere luogo di
evangelizzazione permanente dei più poveri e dei più abbandonati. Occorre quindi che, anche dal punto di vista
geografico, la parrocchia sia posta in mezzo a coloro che sono abbandonati
religiosamente e socialmente, o comunque deve prendersi cura prevalentemente
dei non credenti, dei non praticanti, dei vecchi e nuovi poveri quali i malati, gli anziani, i giovani
drogati, ecc.
Anche nel campo parrocchiale gli
Oblati devono essere “gli specialisti delle missioni difficili”. In una diocesi
o in una regione essi devono scegliere, fedeli alla loro natura, gli ambienti
più difficili. In proposito, subito dopo l’ultima guerra, quando gli Oblati si
indirizzavano sempre più verso le parrocchie, il Capitolo Generale del 1947
così si esprimeva: “Se si crede
opportuno accettare le parrocchie, che queste siano soprattutto parrocchie ‘popolari’
e periferiche, piuttosto che cittadine o ricche. La preoccupazione del
Capitolo è sempre quella di mantenere la Congregazione nello spirito della sua
vocazione e nella fedeltà ai suoi fini: ‘Evangelizare pauperibus misit me’”.
2. Deve porsi all’avanguardia della pastorale diocesana nel campo dell’evangelizzazione. Per quella “audacia nell’aprire strade nuove” che deve caratterizzare l’evangelizzazione oblata, la parrocchia affidata alla Congregazione dovrebbe possedere un dinamismo missionario creativo, capace di raggiungere lontani, di favorire i diversi ministeri, di sviluppare la catechesi in tutti i diversi settori, la formazione dei laici, di costruire una autentica comunità cristiana in grado di dare il suo positivo contributo nel campo sociale e politico. Mi sembra rimangano particolarmente indicative la parole di Paolo VI indirizzate a noi Oblati: “Oggi come ieri voi avete davanti una missione nello stesso tempo difficile ed esaltante. Abbiate a cuore di fare opera costruttiva. Suscitate comunità di credenti, di apostoli, di santi che, a loro volta, siano lievito nella pasta”.
3. Deve possedere una dimensione “cattolica”,
missionaria. La parrocchia oblata, a differenza di quella affidata al
clero diocesano, è guidata da uomini che fanno parte di una famiglia religiosa
internazionale, i cui membri lavorano nelle missioni ad gentes. Questo
carattere missionario deve essere impresso come un elemento caratteristico
nella parrocchia oblata. Se è vero che tutta la Chiesa è missionaria, in una
parrocchia oblata questo deve essere percepito e vissuto con maggiore coscienza
e con conseguenti scelte pastorali ed operative, quali ad esempio contatti con
i missionari, gemellaggi con le giovani Chiese, volontariato, eoe., che abbiano
una positiva eco in tutta la diocesi e siano di stimolo per le altre comunità
parrocchiali.
4. Oltre a questo carattere missionario potrebbe esservi anche una effettiva apertura della comunità legata alla parrocchia, verso tutta la zona circostante, in modo che diventi centro di irradiazione che vada al di là dell’ambito parrocchiale. Di qui la condizione ottimale - di cui abbiamo numerosi esempi fin dall’inizio della Congregazione ed anche adesso - di una comunità a cui è affidata sia la parrocchia sia l’animazione missionaria della regione. Lo stesso laicato della parrocchia potrebbe essere coinvolto in questo più ampio raggio apostolico, che diventerebbe co si un ulteriore strumento di formazione nei suoi riguardi.
5. Tutta la comunità oblata è chiamata a contribuire al ministero parrocchiale secondo i ruoli e le competenze proprie ad ognuno. Anche se giuridicamente e in pratica la responsabilità
e la principale attività è affidata prevalentemente al parroco e all’uno o l’altro membro della comunità, tutta la comunità è impegnata nella programmazione, nell’animazione, nella verifica, così
come avviene in ogni altro ministero:
“Siamo tutti responsabili in solido della
vita e dell’apostolato della
comunità” (C 87).
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