Da tutta l’eternità Dio si era preparato il luogo più adatto
e degno onde venire ad abitare: Maria! L’aveva preservata da ogni macchia di
peccato e adornata di ogni grazia e bellezza. Mai egli si era reso così
presente nella creazione come quando il Verbo si fece carne nel grembo di
Maria. La terra abbracciò il cielo e lo raccolse in sé. Nessuna creatura ha mai
conosciuto intimità più profonda con Dio, fusione di carne e di sangue,
compenetrazione di volere e di esistenza. Chi più di lei può dire: «Io sono per
il mio diletto e il mio diletto è per me» (Cant 6, 3)?
Anche dopo aver dato alla luce il figlio, il suo cuore
continua a rimanere la stanza segreta, lo spazio interiore del raccoglimento
nel quale ella “custodisce e medita” (cf. Lc 2,19; 2,51), prolungando il
dialogo silenzioso, la lode del Magnificat per quanto Dio compie in lei e
attorno a lei, nell’immedesimazione di destino e di vita con il Figlio.
E dopo le nozze? “Giuseppe la prese con sé”, nella sua
casa. Anche dopo il ritorno dall’Egitto la Famiglia di Nazareth sarà andata
ad abitare nella casa di Giuseppe, che ancora oggi appare ben distinta da
quella della Vergine: le due case sono agli estremi opporti del piccolo
villaggio.
Eppure quando si parla della “casa di Nazareth” le due
“case” si fondono in un unico ricordo. Così hanno fatto anche i papi che
sono stati a Loreto, come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, o Paolo VI quando
è andato a Nazareth.
La “casa di Nazareth” diventa una cosa sola con la “famiglia
di Nazareth”, la vita vissuta insieme tra Maria, Giuseppe, Gesù, e quindi il
rapporto d’amore che legava i tre, esemplare di ogni famiglia cristiana.
Dopo i grandi straordinari eventi attorno alla nascita di
Gesù, comincia la vita nascosta di Nazareth.
«Ecco l'insegnamento di Nazareth – afferma ad esempio Giovanni
XXIII in visita a Loreto alla vigilia del Concilio Vaticano II –: famiglie
sante; amore benedetto; virtù domestiche, sboccianti nel tepore di cuori
ardenti, di volontà generose e buone. La famiglia è il primo esercizio di vita
cristiana, la prima scuola di fortezza e di sacrificio, di dirittura morale e
di abnegazione».
Ci siamo incontrati con l’arcivescovo in un dialogo profondo sulla vocazione del Santuario e sulla presenza degli Oblati.
Il nostro ritiro ci ha portati anche nella Comunità Cenacolo una delle più di 60 comunità sparse per il mondo per il recupero di giovani problematici, fondata da suor Elvira appena partita per il cielo. Il nostro ritiro e otturo fatto da luoghi e testimonianze.
Il 15 agosto 1993, in una lunga lettera per il VII Centenario del Santuario della Santa Casa di Loreto, Giovanni Paolo II richiamò i molti temi legati a questo luogo. Cito i primi tre soltanto.
La Santa Casa di Loreto è
“icona” non di astratte verità, ma di un evento e di un mistero: l’Incarnazione
del Verbo. È sempre con profonda commozione che, entrando nel venerato
sacello, si leggono le parole poste sopra l’altare: “Hic Verbum caro factum
est”: Qui il Verbo si è fatto carne. L’Incarnazione, che si
ricorda dentro codeste sacre mura, riacquista di colpo il suo genuino
significato biblico; non si tratta di una mera dottrina sull’unione tra il
divino e l’umano ma, piuttosto, di un avvenimento accaduto in un punto preciso
del tempo e dello spazio, come mettono meravigliosamente in luce le parole
dell’Apostolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna” (Gal 4, 4). Maria è la Donna, è, per così dire, lo
“spazio” fisico e spirituale insieme, in cui è avvenuta l’Incarnazione. Ma
anche la Casa in cui Ella visse costituisce un richiamo quasi plastico a tale
concretezza. (…)
Il racconto dell’Annunciazione, con al vertice la grande parola “piena di grazia” (kecharitoméne), proclama la verità fondamentale che all’inizio di tutto, nei rapporti tra Dio e la creatura, c’è il dono gratuito, la libera e sovrana elezione di Dio, tutto ciò insomma che nel linguaggio della Bibbia è racchiuso nel termine “grazia”. (…) La Santa Casa di Loreto, dove ancora risuona per così dire, il saluto “Ave, piena di grazia”, è dunque un luogo privilegiato, non solo per meditare sulla grazia, ma anche per riceverla incrementarla, ritrovarla, se persa, mediante i sacramenti. (…)
Il secondo momento del mistero dell’Incarnazione è, come accennavo sopra, il momento del “fiat”, cioè della fede: “Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). (…) Il secondo messaggio che risuona tra le mura della Santa Casa è, dunque, quello della fede. A Loreto si è come contagiati dalla fede di Maria. Una fede che non è solo assenso della mente a verità rivelate, ma anche obbedienza, accettazione gioiosa di Dio nella propria vita, un “sì” pieno e generoso al suo disegno. (…) Non si contano le anime di semplici fedeli e di Santi canonizzati dalla Chiesa che tra le pareti del sacello lauretano hanno avuto la loro “annunciazione” cioè la rivelazione del progetto di Dio sulla loro vita, e, sulla scia di Maria, hanno pronunciato il loro “fiat” e il loro “eccomi!” definitivo a Dio. (…)
Il terzo momento è, infine,
quello dell’Incarnazione del Verbo, cioè della venuta tra noi della salvezza.
La preghiera dell’Angelus lo rievoca con le parole sublimi del
prologo: “E il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. (…)
Qual è, a questo proposito, il messaggio che la Santa Casa di Loreto, quale
“Santuario dell’Incarnazione”, deve contribuire a diffondere nel mondo? Essa (…)
rende in qualche modo “presente” quell’istante unico nella storia in cui la
grande novità fece la sua irruzione nel mondo. Essa aiuta, perciò, a ritrovare,
ogni volta, lo stupore, l’adorazione, il silenzio necessari davanti a tanto
mistero.
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