Ieri, visitando le
stanze di san Camillo de Lellis, siamo passati dalla grande sala capitolare
dove sono i ritratti di tutti i superiori generali che si sono susseguiti nel
secoli. Ho visto anche quello di p. Calisto Vendrame, brasiliano, 56° superiore
generale, eletto nel 1977. Il quadro non è tra i più riusciti, ma è proprio
lui, come l’ho conosciuto negli anni Ottanta, quando davo qualche contributo
all’Unione dei Superiori Generali. Nel 1985 gli dissi che sarei andato in
Uruguay. La data del volo coincideva con un suo viaggio in Brasile e subito mi
invitò a fare scalo a Rio de Janeiro con lui. Detto fatto. Viaggiammo insieme e
fui suo ospite per tre giorni nei quali si dedicò interamente a me.
Sono passati quasi quarant’anni. Non so se ho qualche pagina del mio diario, ma ricordo tutto come fosse ora: Copacabana, il Cristo Redentore (l'unico foto di quel viaggio e quella con lui sotto la grande statua che domina la città e la baia), una favela alla cui entrata c’era un gruppo di armati fino ai denti, la festa di compleanno di una persona malata di mente chiusa dietro una inferriata… Immersione totale in una realtà per me nuovissima…
Grande biblista, una volta commentò la parabola del buon samaritano con gi occhi di san Camillo e con i suoi occhi di camilliano oggi concludendo:
“Non è detto che dopo
quattro secoli di storia, da quando S. Camillo creò una "nuova scuola di
carità" (come ebbe a dire Benedetto XIV), la situazione del malato sia
sostanzialmente cambiata. Nel mondo industriale sono cambiate le strutture, la
scienza medica ha fatto salti di qualità, si sono prodotte buone legislazioni,
i ricoveri diventano a volte anche troppo frettolosi e l'alimentazione fin
troppo abbondante... eppure si muore ancora di mancanza di amore. Sono più che
mai attuali le parole di Camillo: "Un bravo infermiere ne può valere mille
e mille non valerne uno", perché ci vuole "più cuore nelle
mani". (…)
Ma
se nella città industriale, nonostante il progresso scientifico, il malato
soffre e muore di disumanizzazione, il malato del terzo mondo (malgrado la
buona volontà di molti) continua a soffrire e morire per mancanza di tecniche e
strutture che sarebbero disponibili anche per lui, se ci fosse più volontà
politica di sviluppare e condividere messi di vita e di salute, piuttosto che
produrre ed esportare mezzi di distruzione e di morte. Ogni giorno migliaia di
fratelli e di sorelle muoiono ancora di fame e di malattie banali da molto
vinte dalla scienza medica.
Questa triste realtà potrà cessare quando sorgeranno molti samaritani capaci di farsi prossimi dei malati anche oltre i confini della Samaria”.
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