venerdì 11 agosto 2023

La preghiera nell'esperienza di Chiara Lubich



 

Oggi, festa di santa Chiara, abbiamo ricordato l’onomastico di Chiara Lubich che eravamo solitici celebrare ogni anno.

Così, con i vescovi, sempre al santuario Sameiro di Braga, ho ripreso la seconda parte dell’incontro parlando dell’esperienza di preghiera di Chiara Lubich. La preghiera è la stessa per tutti i cristiani, è quella che ha insegnato Gesù, è la preghiera della Chiesa. Eppure come l’unica spiritualità cristiana si esprime in tante spiritualità, così la preghiera può avere accenti diversi, ispirati dai carismi che la animano. Qual è dunque la preghiera nel carisma di Chiara? È arduo descriverla, ma ho provato, semplicemente, aiutandomi con quattro foto, come già ho fatto altre volte.

Prima foto: in profondità nel rapporto con Dio

L’ho scattata il 23 novembre 2003, all’inizio di un incontro della Scuola Abbà mentre Chiara, in silenzio, chiede a Gesù di rinnovare il patto di unità. È una foto leggermente sfocata, ma mi è particolarmente cara perché la ritrae assorta in Dio, le mani giunte, gli occhi chiusi, icona di un raccoglimento profondo e intenso, lo stesso nel quale la vedevo immersa sia durante la Messa celebrata insieme nella sua cappella, sia in quelle celebrate nelle grandi assemblee pubbliche.

L’ho vista pregare in maniera semplice e spontanea, quando ci guidava nella visita a Gesù Eucaristia, nella recita del rosario, nella visita a un santuario. Pur essendo il suo “segreto”, più volte ci ha fatto entrare nell’intimità della sua preghiera nella quale sapeva coinvolgere tutti noi.

Potremmo percorrere il cammino della sua vita alla ricerca dei suoi tanti momenti di preghiera. La vedremmo entrare in una chiesa, ritirarsi nel suo studio o nella cappella di casa, fermarsi a contemplare la natura o perduta nella folla dove sempre trova Dio…

Il momento della preghiera era per lei «il momento più bello», «il momento migliore» della giornata. Durante un suo viaggio in Argentina, il 23 aprile 1964, annota nel diario:

Oggi è senz’altro il giorno più bello, o meglio, questo è il momento migliore di tutto il viaggio: sto scrivendo infatti in focolare, davanti a Te, Gesù Eucaristia, nella piccola cappella.

Pensando poi ai giorni precedenti trascorsi a New York e ai grattacieli della città, continua:

Non siamo qui a chissà quale piano d’un grattacielo (...), non solo al settimo cielo, ma in cielo. E si “sente” la tua presenza, Gesù, in questa casa, così forte da far scomparire ogni altra presenza.

Chiara ci ha lasciato tante preghiere scritte. Sono espressione di un sincero rapporto personale con Dio, animato dal desiderio di vivere l’intera vita nell’amore per Lui. Basterà leggere questa:

Sì, Gesù, so che nella vita, in ogni attimo della vita conta solo amarTi. Vorrei poterTi dire, alla fine della vita (che può esser presto o tardi): «T’ho sempre amato». Non so che dirTi, Signore; provo a leggere, a far meditazione, ma debbo smettere per star con Te: ho bisogno di Te, Signore perché tutto il resto che faccio (ed è una vita consacrata la mia) mi sembra tutto vuoto. Ho bisogno di Te per riveder la mia vita con Te, per far con Te i miei, tuoi calcoli, per stare con Te, ma non inattiva, ma con Te. Per dar senso poi quando dovrò tornar fuori. (Diario, 19 maggio 1966)

Il rapporto che Chiara ha con Dio non consiste nel molto parlare, ma nel molto amare, va ben al di là delle preghiere:

Gesù, quando tu vieni nel nostro cuore, sarebbe l’ora di chiederti tante cose. Ma proprio perché Tu in persona vieni nel nostro cuore, è l’ora in cui non abbiamo da chiederti più nulla. (Pensieri, p. 14)

Ed ecco che la meditazione le diventa come un profumo che sparge fragranza lungo tutta la giornata:

Praticamente è diventata un vero colloquio, non un soliloquio. Infatti, mi sento ascoltata e mi s’innamora tutta l’anima. È come aprire una bottiglia di profumo che sparge la sua fragranza su tutta la giornata, perché cerco di farla la mattina la meditazione. (Diario, 26 giugno 1978)

Occorrerebbe scrive una biografia di Chiara come rapporto d’amore con il suo Sposo, come preghiera. Ci consentirebbe di penetrare un po’ il suo segreto colloquio con Dio, come in questa famosa pagina di diario:

La Trinità dentro di me! L’abisso dentro di me! L’immenso dentro di me!
La voragine d’amore dentro
di me! Il Padre che Gesù ci ha annunciato dentro di me!
Il Verbo!
Lo Spirito Santo, che voglio sempre avere per servire l’Opera, dentro di me!
Non domando
di meglio. Voglio vivere in questo abisso, perdermi in questo sole, convivere con la Vita Eterna. (22 maggio 1972)

Recentemente una focolarina mi ha scritto: «Perché nella spiritualità dell’unità c’è paura della solitudine? In questo momento per me solitudine e silenzio sono semplicemente un bisogno incredibile di Dio… Lo sento come una chiamata a Lui solo». Lo scrive quasi con scrupolo, quasi fosse fuori vocazione.

A questa focolarina vorrei poter mandare la foto che ho fatto vedere prima, o questa, del 10 gennaio 2003, che la ritrae sempre alla Scuola Abbà (sono i momenti in cui potevo fotografarla…). Oppure leggere con lei e commentare questa semplice frase che trovo nel diario del 27 settembre 1965: «Cos’è questo: “Debbo convertirmi”? Questo “vivere dentro”, questo “vivere nel soggiorno trinitario, preludio della vita che verrà”, se non desiderare, mio Dio, di metterti ogni minuto al primo posto per ordinare la carità in noi?».

Tutti contemplativi, nel Movimento dei Focolari? Sì, ma al modo “focolarino”. Ed ecco la seconda foto.

Seconda foto: Pregare in città

È una foto degli ultimi anni, in via Condotti, nel centro di Roma. Non ho trovato una foto di Chiara degli anni ’50-60, quando abitava a Roma. Chiara non vive in un convento, vive la sua preghiera nella vita quotidiana della città.

“Passo per Roma - leggiamo in un suo famoso scritto del 1950, Resurrezione di Roma - e non la voglio guardare. Guardo il mondo che è dentro di me e m’attacco a ciò che ha essere e valore. Mi faccio un tutt’uno con la Trinità che riposa nell’anima mia, illuminandola d’eterna Luce e riempiendola di tutto il Cielo popolato di santi e d’angeli, che, non asserviti a spazio e a tempo, possono trovarsi raccolti tutti con i Tre in unità d’amore nel mio piccolo essere”.  

Chiara rinuncia alla città – “non la voglio guardare” –, alla sua laicità? No. Quel “non guardare” è solo il primo momento, quasi un prendere la rincorsa – entrando nell’interiorità del proprio cuore abitato dalla Trinità – per lanciarsi fuori, nel mondo, ma con uno sguardo nuovo, quello che nasce dal rapporto intimo e personale con Gesù, dalla preghiera profonda:

guardo al mondo e alle cose; però non più io guardo, è Cristo che guarda in me e rivede ciechi da illuminare e muti da far parlare e storpi da far camminare. (…) Cosicché riaprendo gli occhi sul di fuori vedo l’umanità con l’occhio di Dio che tutto crede perché è Amore. (Paradiso’49, ottobre 1949)

Chiara può dunque trovare Dio ovunque perché la sua preghiera la porta in un costante rapporto con Dio, non è confinata nei momenti dedicati esplicitamente alle preghiere: tutta la sua vita lentamente diventa preghiera. C’è un “dentro” e un “fuori”, in un gioco costante di reciproco rimando.

Anche 15 anni più tardi, il 4 aprile 1965, proprio mentre si trova ancora per le strade di Roma (in quel periodo vive in via Valnerina), scrive:

Qualcuno mi chiama con veemenza in fondo all’anima ad unirmi a Sé.
Sei Tu, mio Dio, al cui pensiero anche in mezzo a Via Veneto, a Corso d’Italia, dovunque, mi si commuove l’anima fino nel profondo.
E c’è un’oasi in essa, che m’attira come l’unico regno di pace, d’amore... ma così diversa, così diversa dal resto! Mi chiami, mi richiami, mi attiri, mi vuoi! Come sei il Solo per l’anima, quando l’anima è in questa disposizione! E come, con Te, si vedono grandi i peccati, le imperfezioni, le parole in più. Perdono, mio Dio!
Quest’unione attendevo, ché altro fine non ha l’unità nostra con chicchessia, sia pure col Santo tuo Vicario, che quello d’aumentare l’unione con Te.
E a Te chiedo per lui la massima gloria, la santità.

Chiara passeggia per via Veneto, per Corso Italia, per via Condotti. E non cammina a volto basso, ad occhi chiusi. Non cerca un raccoglimento esteriore, non teme «il chiasso esterno della radio aperta a tutto spiano, dell’inquilino accanto, e lo strepito delle macchine, o l’urlo degli strilloni»; non è neppure attratta dalla forma claustrale di vita, che pure stima moltissimo e ammira, convinta che «anche la mia casa può avere il profumo del chiostro; anche le pareti del mio abitato possono divenire regno di pace». La sua preghiera, il raccoglimento interiore, li avvertiva come frutto dell’azione di Dio, che vuole prendere possesso della sua persona intera, «muovere i miei atti, permeare della sua luce il mio pensiero, accendere la mia volontà, darmi la legge insomma del mio stare e del mio andare». Dio, afferma, 

saprà dare anche a queste mura l’importanza di un’abbazia e a questa stanza la sacralità di una chiesa, al mio seder a mensa la dolcezza di un rito, alle mie vesti il profumo di un abito benedetto, al suono della porta o del telefono la nota gioiosa di un incontro con i fratelli, che rompe, eppur continua il colloquio con Dio.

In definitiva, «Cristo sarà il mio chiostro, il Cristo del mio cuore, Cristo in mezzo ai cuori» (Meditazioni, 2020, p. 82).

Terza foto: La preghiera per il fratello e l’unione con Dio che nasce dal fratello

Dentro la città ci sono persone concrete, che non vanno scansare, evitate, ma incontrate, amate ad una ad una.

Gesù per pregare ci chiede di entrare nella cella della nostra anima perché lì egli abita. Ma se abita nella mia cella interiore, abita anche nella cella dell’altro. E per la strada quanti Gesù incontriamo!

Ecco il famoso testo, che abbiamo intitolato “Guardare tutti i fiori”, del 6 novembre 1949:

Dio che è in me, che ha plasmato la mia anima, che vi riposa in Trinità (con i santi e con gli Angeli), è anche nel cuore dei fratelli. Non è ragionevole che io Lo ami solo in me... Dunque la mia cella... il mio Cielo, è in me e come in me nell’anima dei fratelli. E come Lo amo in me, raccogliendomi in esso – quando sono sola –, così Lo amo nel fratello quando egli è presso di me.

L’altro non è una distrazione, ma l’occasione per un nuovo incontro con Dio.

Consapevole di ciò Chiara nella sua preghiera domanda innanzitutto un cuore grande, sulla misura di quello di Dio, per poter amare ogni persona con l’amore stesso di Dio. Così in una delle sue più belle preghiere:

Signore, dammi tutti i soli… Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il mondo intero. Amo ogni essere ammalato e solo: anche le piante sofferenti mi fanno pena…, anche gli animali soli. Chi consola il loro pianto? Chi compiange la loro morte lenta? E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato? Dammi, mio Dio, d’essere nel mondo il sacramento tangibile del tuo Amore, del tuo essere Amore: d’essere le braccia tue che stringono a sé e consumano in amore tutta la solitudine del mondo. (Meditazioni, p. 28)

Si vive dentro di sé – “vivere dentro” è un’espressione tipica di Chiara, frutto della sua esperienza di preghiera – e si vive “fuori di sé”, un’altra espressione tipica di Chiara. La preghiera è vivere dentro e vivere fuori: una dinamica esigente, ma è forse la novità della preghiera del Movimento dei Focolari. È l’immagine dei “due fuochi”: «Dio dentro di noi, Gesù in mezzo a noi».

Il frutto di questo movimento – dentro-fuori, Gesù in noi-Gesù in mezzo a noi – è bene espresso in un testo che conosciamo a memoria:

Allora l’anima, quando tutto il giorno volentieri ha perso il Dio in sé per trasferirsi nel Dio nel fratello (ché l’uno è ugua­le all’altro come due fiori di quel giardino sono opera dell’i­dentico fattore) ed avrà fatto ciò per Gesù Abbandonato che lascia Iddio per Iddio (e proprio Dio in sé per il Dio presente o nascituro nel fratello…), ritornata su se stessa o meglio sul Dio in sé (perché sola nella preghiera o nella meditazione), ri­troverà la carezza dello Spirito che – perché Amore – è Amore per davvero, dato che Dio non può venir meno alla sua parola e dà a chi ha dato: dà amore a chi ha amato. (Paradiso’49, 6 novembre 1949)

In un altro scritto parla più esplicitamente della sua esperienza in merito:

Quando l’unità coi fratelli è completa […] allora, molto spesso, Ti trovo, Signore. Rientrando nel tempio dell’anima mia, T’incontro, o – non appena le circo­stanze mi lasciano sola – m’inviti, m’attiri, dolcemente ma decisamente, alla Tua divina presenza. Allora solo Tu regni dentro e fuori di me, e la casa che m’hai data in uso – per il pellegrinare della vita – la sento e la dico dimora del mio Dio.  (Meditazioni, p. 105)

Quella di Chiara è l’esperienza di una laica, nasce da una spiritualità tutta incentrata sulla comunione, e mostra il legame strettissimo tra il rapporto con Dio e il rapporto con gli altri, tra la preghiera e l’azione, tra il cielo e la terra.

Questo ci introduce nella preghiera “con” il fratello: la preghiera liturgica, il consenserint… Non abbiamo il tempo per affrontare questo tema importantissimo. Basterà uno scritto del 9 novembre 1949:

… vedo chiaramente come debba esser la preghiera in comunità (ad esempio il rosario in due). Un’anima prega Dio nell'altra e l’altra nella prima, giacché le due anime sono un'anima unica e la Trinità è deposta in essa, distinguendoSi in Padre e Figlio. Allora il raccoglimento è perfetto e la preghiera un abbraccio completo del Cielo e della terra, ché in quel fratello amo il Fratello e quindi tutti i fratelli ed in essi è, come abbiamo visto, tutto il creato.

Quarta foto: La preghiera per l’Ut omnes

Quella di Chiara è una vocazione alla “più alta contemplazione”, e insieme ad essere “immersa nella folla”. La sua via di preghiera sarà quindi la via dell’amore verso tutti, per contribuire all’unità. Ricordiamo la scoperta, nei rifugi, durante la guerra, della preghiera dell’unità di Gesù al Padre; la scoperta che il Movimento che stava per nascere aveva come vocazione l’attuazione di quell’unità voluta da Gesù. Ma se l’amore reciproco è oggetto di un comando, l’unità è oggetto di una preghiera. Ci si può, ci si deve amare, così da preparare l’unità, ma l’unità rimane un dono da chiedere nella preghiera. Così Chiara offre le sue labbra perché Gesù continui a rivolgere al Padre quella preghiera.

Recitavamo sempre l’ultima preghiera di Gesù, quella dell’unità. Era il nostro modo di pregare. Aspettavamo che, dopo la Comunione, Gesù fosse dentro di noi. E, poiché ci avevano detto che non siamo noi a riceverlo ma è Lui che riceve noi, sentivamo di essere un altro Cristo e dicevamo di prestare a Lui la bocca perché potesse ripetere la sua ultima preghiera, quella dell’unità. Era una implorazione perché venisse l’uni­tà e questo è già realtà in cammino. (Paradiso ’49. Nota 754 allo scritto del 10 novembre 1949)

La preghiera di Gesù diventa la nostra preghiera e la nostra preghiera quella di Gesù. Occorre dunque che sia Gesù in noi che prega. Come? Lasciando che Lui in mezzo a noi sia la nostra preghiera. Sta qui il modo tipico di pregare di Chiara

Ne parla ad esempio il 1° giugno 1958 in una conversazione in Trentino con un gruppo di giovani che desiderano essere focolarini. Nel far nascere il Movimento, spiega loro, Dio

avrebbe potuto, per esempio, suscitare un gruppo di persone che diffonde universalmente la pietà eucaristica, oppure che diffonde universalmente l’idea di adorare Dio. C’è Dio sulla terra, ma come non si sta ore ed ore, notti intere, ad adorare Gesù nell’Eucaristia? Gesù non ha voluto questo di noi.

Quindi prosegue con altre esemplificazioni, come «concentrarci nell’intimo, nel “castello interiore” della nostra anima e far di noi delle anime contemplative. Neanche questo Gesù ha voluto». Cosa vuole dunque Gesù dal Movimento dei Focolari?

Quando lui ci ha indicato Dio come Ideale della nostra vita, ha detto: “Se volete trovarlo, lo troverete in mezzo a noi. Amatevi a vicenda e, amandovi a vicenda, io sarò in mezzo a voi, perché ‘Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro’”. Allora dove noi dobbiamo trovare Dio? […] Quale la vocazione nostra, la specifica vocazione nostra in questo secolo? Quella di far trionfare Dio in mezzo a noi. (Cit. in J. Povilus – D. Falmi(a cura di), Gesù in mezzo, Città Nuova, Roma 2019, p. 89)

La conseguenza per la maniera di pregare è evidente:

Quello che noi abbiamo capito e che tutti capiscono quando incontrano l’Ideale è che bisogna mettere l’amore scambievole a base della vita, a base della preghiera, e prima della preghiera, perché appunto Gesù ci dice, e anche il Padre lo dice: prima di venire da me, riconciliati con tuo fratello, pri­ma devi avere l’unità con il tuo fratello. (A un gruppo di sacerdoti e di religiosi, Risposte alle domande, Incisa Valdarno, 15 maggio 1987)

“Gesù in mezzo” è essenziale per la preghiera di Chiara. È la preghiera.

Si ribalta così l’immagine che abbiamo abitualmente dell’unione con Dio. La si pensa come un albero la cui radice è l’unione con Dio e la sua espressione esterna l’amore del prossimo. Possiamo anche immaginare l’amore di Dio come frutto dell’amore del prossimo.

È soltanto amando il fratello, le radichette in giù – afferma Chiara –, che va in su il fusticino e l’unione con Dio. (Ai volontari e ai focolarini esterni sposati, Risposte alle domande, Castel Gandolfo, 25 febbraio 1989)

E ancora:

Noi facciamo sempre l’esempio della pianticella, diciamo: come una pianta più affonda le radici più svetta in su il fusticino, così un’anima più affonda il suo amore per i prossimi: per te, per te, per te, per tutti quelli che si incontra in giornata, più cresce l’unione con Dio e la senti. (Alla Giornata dell’Opera della zona dei Castelli Romani, Risposte alle domande, Castel Gandolfo, 10 febbraio 2002).

Si può vivere l’amore al fratello se non si ha dentro l’amore di Dio – la preghiera?
Si può amare Dio che non si vede – la preghiera – se non si ama il fratello che si vede?

Nessuna dicotomia, ma un’armonia, in un costante gioco trinitario, spesso sofferto, ma necessario. Con Gesù in mezzo a noi che ci avvolge e ci penetra, che ci unisce a sé personalmente e fa di tutti uno.

1 commento:

  1. Grazie P. Fabio per l'aggiornamento, ma in modo speciale per le foto che sottolineano le parole e che fanno intuire quello che c'e' in questa realta' cosi' importante dell'unione con Dio.

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