Un pomeriggio insieme con tutti i vescovi nella cittadina di Guimaraes, a pochi chilometri da Braga. Da qui, dopo la conquista dei musulmani nei secoli XVIII-IX, è cominciata la Riconquista, con la guida del primo re, riportando la terra Lusitana al cristianesimo. “Qui nacque il Portogallo” si legge sulle porte della città. Con la guida del vescovo emerito di Braga la visita è iniziata dal Santuario che domina la città, uno dei tanti costruiti sulle colline vicine. Da lassù siamo scesi in città con la funicolare e ci siamo trovati nel castello, con mille anni di storia, e nella residenza dei re. Poi in cammino per la città vecchia con le strade e le piazze caratteristiche. Anche qui tutto un giardino, con aiole, fiori, ordine, pulizia… Infine la visita al municipio, una volta monastero delle Clarisse, dove siamo ricevuti con tutti gli onori e ci parlano delle politiche sociali e culturali del comune.
Un pomeriggio di meritato riposo dopo i tre giorni intensi
di incontro che si sono conclusi con una mattinata tutta incentrata su “Chiamare
per nome le piaghe del nostro tempo”. Ho iniziato io introducendo un video nel
quale Chiara spiega Gesù Abbandonato a Uppadyaya. Seguono una serie di
testimonianze di vescovi su come vivono le loro sofferenze personali e quelle
della loro gente. E appaiono i drammi e le immani tragedie dell’Etiopia, delle
Filippine, del Medio Oriente… Dolori immani che solo Gesù Abbandonato può
colmare.
L’incontro termina con il “patto dell’amore reciproco” tra
tutti: “Eterno Padre, uniti nel nome di Gesù, noi ti promettiamo di amarci a
vicenda come Gesù ci ha amati, fino a dare la vita, per vivere in pienezza la
collegialità attorno a Papa Francesco. Fa sì che siamo un’anima sola e un corpo
solo, che la gioia dell’uno sia la gioia dell’altro, che la croce dell’uno sia
la croce dell’altro, affinché risplenda in noi e fra noi la continua presenza
di Gesù risorto, fino a penetrare tutte le nostre attività e rinnovare le
nostre diocesi, affinché tutti siano uno e il mondo creda”. E subito uno scambio
si abbracci sincero e commovente che sembra non finire mai.
Domani inizierà una seconda parte dell'incontro...
Ed ecco la mia piccola introduzione al video di Chiara:
Quanti dolori, piccoli o grandi, attraversano la nostra
giornata: una delusione, un contrasto, la stanchezza, la depressione, il senso
di fallimento, il tradimento, la malattia, la morte di una persona cara, il
peccato…
Quanto patire delle persone attorno a noi: quante confidenze
di famiglie fallite, di situazione di povertà, di mancanza di lavoro…
Se poi il nostro sguardo si volge verso la Chiesa veniamo
sommersi dagli scandali, dal dolore nel constatare il progressivo
allontanamento della vita sacramentale, la perdita di interesse per le cose di
Dio…
Che dire della nostra impotenza davanti ai drammi della
guerra, del cambiamento climatico, dello scempio della nostra terra?
Gesù non sarà venuto sulla terra proprio per condividere con
noi questo mare di dolore? Non ha pianto con noi e come noi davanti all’amico
morto, alla città di Gerusalemme che non accoglie il suo messaggio e uccide i
profeti? Non ha provato terrore e angoscia davanti alla propria morte?
Non è lui l’agnello di Dio che si è caricato dei nostri
peccati?
Davanti alle tragedie del nostro tempo, ai dolori personali
e a quelli dell’umanità, Chiara mi ha insegnato a guardare proprio a Lui.
Sulla croce Gesù si è fatto pienamente solidale con noi, ha assunto
le nostre fragilità e finitezze, la sofferenza e la morte, fino al peccato
nella realtà più sconcertante della perdita di Dio, fino a gridare: «“Elì, Elì,
lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”» (Mt 27, 46; Mc 15, 34).
Egli prova quello che vive il peccatore, l’estrema
lontananza da Dio. Il Padre conduce il Figlio nelle profondità dell’abbandono,
lo fa penetrare nella solitudine dei peccatori fino a morire della loro morte.
Se egli è entrato negli angoli più bui della nostra vita è
perché in ogni angoscia e dolore potessimo trovarlo presente, accanto a noi.
Doveva prendere su di sé ogni negativo per lasciare, al suo posto, la sua
divina presenza.
Così in ogni dolore egli si fa presente, e soffre con noi e
in noi. Il mio dolore non è più mio soltanto, Gesù lo condivide con me, lo fa
suo. Egli lo prende su di sé, lo porta via, e al suo posto rimane lui.
Ogni dolore, ogni tragedia, può diventare sacramento di Gesù,
mi mette in comunione con lui ed egli si comunica con me.
Nella notte, nell’assurdo, nell’incomprensione, nel
fallimento… in ogni forma di abbandono, crediamo che egli si fa presente, c’è,
sia che lo sentiamo sia che non lo sentiamo. Ha provato la solitudine perché
non fossimo più soli. Ha vissuto l’abbandono del Padre perché noi non fossimo più
abbandonati. È morto perché noi non morissimo.
Chi sarà dunque contro di noi? Dio, «che non ha risparmiato
il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi?». «Chi condannerà? Cristo
Gesù che è morto… per noi?» (Rm 9, 32.34).
Chiara l’ha compreso in maniera quasi occasionale. Ce lo
raccontiamo ancora una volta, anche se conosciamo bene quell’episodio, perché è
bello ricordare come Dio interviene in un’anima e la illumina.
Era una ragazza di 23 anni. Un sacerdote le chiese: “In
quale momento Gesù ha più sofferto?” Lei rispose che abitualmente si pensava
che Gesù avrebbe sofferto di più nell’orto degli ulivi, tanto da sudare sangue.
Il sacerdote le disse che il momento nel quale Gesù aveva
sofferto di più non era quello, ma quando, sulla croce, gridò: “Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?”. Chiara a aderì subito alle parole del
sacerdote.
In quel momento c’era con lei una delle sue prime compagne.
Chiara si rivolse a lei e le disse: “Se il momento nel quale Gesù ha più
sofferto è quanto ha gridato Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? noi ci
consacriamo a lui e lo scegliamo come nostro unico sposo”.
In un incontro di dialogo cristiani-indù il dottor
Upadhyaya, un grande studioso e mistico indiano, chiese a Chiesa di spiegare il
significato di quel grido di Gesù. Il professore era rimasto turbato nel
sentire che il Padre aveva abbandonato suo figlio: com’è mai possibile che un
Dio che è amore abbandoni suo figlio?
Chiara spiega che il massimo dolore di Gesù coincide con il
suo massimo amore. Egli era venuto sulla terra per portarci la beatitudine e la
pace. Egli doveva dunque togliere ogni peccato, ogni male. Come avrebbe fatto a
togliere il male? Lo avrebbe preso su di sé, sulle sue spalle e lo avrebbe
bruciato sulla croce con la sua morte. Così, con la sua resurrezione avrebbe
aperto le porte del cielo e introdotto l’umanità nell’unione piena con Dio.
Gesù prese su di sé tutti i mali. Ma il male più grande è
quello di chi si allontana da Dio, nega Dio, è senza Dio. Per liberare
l’umanità da questo male Gesù lo prese su di sé. Egli non era abbandonato da
Dio, ma volle provare la lontananza da Dio che provano tanti uomini, per
portarli di nuovo all’unità con Dio.
Gesù provò la lontananza da Dio per amore nostro. Era
l’espressione più grande dell’amore di Dio per noi. Per questo Chiara decise di
contraccambiare questo amore infinito di Gesù per noi facendo come lui,
prendendo su di sé tutto il negativo che avrebbe incontrato, i dolori suoi e
del mondo intero, perché in tutti vedeva Gesù che era entrato in quel male.
Chiara non amava il male, le sofferenze, amava Gesù. Sotto quel male e quella
sofferenza, sapeva riconoscere Gesù e amarlo. Solo lui resta, Gesù.
Quella risposta rimane, tra l’altro, anche un esempio
concreto di dialogo interreligioso e di annuncio evangelico.
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