L’altro da me può essere il mio inferno o il mio paradiso. Lo sapeva bene Jean Paul Sartre quando nel 1943 scrisse il dramma A porte chiuse dove i tre personaggi si tormentano a vicenda con domande e commenti sulle loro vite fino a diventare un inferno l’uno per l’altro. Pochi anni dopo anche Chiara Lubich scrive un’opera, Paradiso ’49, dove narra la sua esperienza con l’altro che definisce un paradiso – così nella pagina datata 8 settembre che ora leggeremo. Un paradiso non perché le persone che lei ha accanto siano, a differenza dei tre personaggi di Sartre, dei santi. Quel giorno pensa in particolare a Maria Dolores, che ha accolto in casa con sé, una donna coinvolta in pratiche aberranti; per Chiara è lei il suo paradiso. L’aveva chiesto all’inizio del mese, il 1° settembre, in una preghiera intensa: «Signore, dammi tutti i soli… […] d'esser le braccia tue che stringono a sé e consumano in amore tutta la solitudine del mondo». Il 6 settembre sembra quasi essere stata esaudita: «Io sento di vivere in me tutte le creature del mondo». Sa trovare il suo paradiso anche in ciò che più somiglia all’inferno perché nelle persone più piagate vede il volto concreto del suo Sposo, Gesù abbandonato, del quale, verso la fine di questo mese intenso, potrà dire: «Ho un solo Sposo sulla terra, Gesù Abbandonato […]. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità» (20 settembre).
Se l’altro è il mio paradiso quale sarà il mio rapporto con
lui? Quella dell’8 settembre è una pagina magistrale di “dialogo”, su come
andare verso l’altro, come accoglierlo, come ascoltarlo, come imparare
dall’altro, come donare all’altro… Usa addirittura l’ardita metafora del
“trasferirsi” nell’altro, analoga a quelle di “mettersi nei panni dell’altro”,
“camminare nelle sue scarpe”, a indicare, con una forza unica,
l’empatia, la tensione massima nell’accompagnare e amare il fratello in tutte
le sue vicende spirituali e umane. Non ci si impone, non lo si
sopraffà, piuttosto rispetto, attenzione sincera. Nessun senso di superiorità, piuttosto
far emergere l’altro, mettendolo in evidenza, al primo posto, lasciando che
possa esprimersi, sbocciare come un fiori al calore del sole. È l’arte
dell’amare. Non è una falsa benevolenza, è una convinzione sincera, frutto di
quanto Chiara aveva percepito pochi giorni prima, il 2 settembre: «Ho sentito
che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è
stato creato da Dio in dono per me».
Così dieci anni più tardi, il 1° giugno 1958, potrà dire: «Ogni fratello che ci passa accanto, qualsiasi prossimo che ci vediamo vicino, noi non dobbiamo vederlo come uno che beneficheremo, ma lo dobbiamo vedere come uno dal quale siamo beneficati; perché noi – mettendoci in contato con l’Amore, “a chi ha darà dato” – ci arricchiamo di tante cose da quel fratello».
Trento, 8 settembre 1949
Ci
sono tanti modi di ripulire una stanza: raccogliere paglia per paglia; usare
una scopa piccola, una grande, un grande aspirapolvere, ecc. Oppure - per esser
nel pulito - si può cambiar stanza e tutto è fatto.
Così per santificarci. Anziché lavorare tanto, si può
immediatamente scostarsi e lasciar viver Gesù in noi. E cioè vivere trasferiti
in Altro: nel prossimo, per esempio, che - momento per momento - ci
è vicino: vivere la sua vita in tutta la sua pienezza.
Come nella Trinità - e quello solo è l'Amore - il Padre vive nel
Figlio e viceversa. E l'Amore vicendevole è Spirito Santo. Quando si
vive trasferiti nel fratello (bisogna perderla la vita per ritrovarla [cf Mc
8, 35; Mt 10, 39], non appena occorre
ritornare in sé per rispondere al fratello, si ritrova in sé un Terzo: lo
Spirito Santo che ha preso il posto del vuoto nostro.
Ora si può entrare nell'altro in vari modi: spingendovisi come
uno grande volesse entrare per una porta piccola... e fa così colui che non
ascolta fino in fondo il fratello (che non muore tutto nel fratello che è il
Paradiso dell'io, il Regno dell’io) e vuoi dare risposte raccolte via via nella
propria testa che possono essere ispirate ma non sono quel soffio di Spirito
Santo che darà la vita al fratello.
Vi
è chi (amante appassionato di Gesù Abbandonato) più volentieri muore che vive
ed ascolta il fratello fino in fondo non preoccupandosi della risposta, che gli
sarà data alla fine dallo Spirito Santo il quale sintetizza in brevi parole od
in una tutta la medicina per quell'anima.
Nessun commento:
Posta un commento