mercoledì 9 agosto 2023

Con i nostri vescovi per una Chiesa tutta sinodale

 

Che giornata! Dialogo a tutto campo… Non perdo comunque occasione per qualche puntatina al santuario dell’Immacolata, troppo bello, luogo di autentica preghiera. La basilica, il parco, i giardini: tutto pieno di persone che vengono quassù per godere il panorama, la gioia di visitare il santuario… Luoghi d’incanto.

La cripta si apre su una chiesa sotterranea di dimensioni impensate, per i grandi raduni. Grandi quadri in ceramica raccontano i misteri del Rosario e una serie di affreschi illustrano l’evangelizzazione di cui il Portogallo è stato protagonista nel mondo intero.

In mattinata lo sguardo sulla Chiesa oggi, offerto dai nostri vescovi e dal card. Pizzaballa, ha il tono dell’esperienza personale, davvero toccante e arricchente. Poi una tavola rotonda su temi caldi della Chiesa oggi: il posto dei carismi, della donna, della famiglia. Qui si colloca anche il mio piccolo intervento. Mi avevano rivolto delle domande e mi avevano chiesto di preparare delle risposte scritte. Ha messo giù alcuni appunti che qui riporto. Però il discorso è andato su tutte altre piste, grazie al reale dialogo con tutti i presenti.

Il pomeriggio abbiamo portato lo sguardo sul tema della sinodalità, con l’aiuto del card. Grech, Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, e di Piero Coda, dando ancora spazio alle esperienze. Ne risulta una Chiesa ricca di vita nonostante le difficoltà presenti ovunque. È bello guardare la Chiesa di oggi con gli occhi dei vescovi, nostre guide… molto diverso da quello deprimente che spesso ci trasmesso i media. Uno sguardo di fede e di speranza.

1. Nella Chiesa vista come “popolo di Dio”, come conciliare unità e varietà di carismi?

Per comprendere la collocazione dei carismi nella vita della Chiesa, converrà ricordare la svolta copernicana della Costituzione dogmatica Lumen gentium: prima di esporre le diversi vocazioni, nel secondo capitolo tratta dell’intero popolo di Dio, mettendo in risalto la comune vocazione e la sua indole sociale: «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo» (n. 9).

Il popolo di Dio è interamente ministeriale, missionario, carismatico. Ogni suo membro è investito della grazia dell’intero popolo: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui…» (1 Pt 2, 8-9).

Questa unità non è però uniformità: «Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?» (1 Cor 12, 29-31).

Riferendosi a questa molteplicità del vivere e operare dei membri del popolo di Dio Paolo usa proprio la parola “carisma”. È il carisma che rende la Chiesa ricca e varia nelle sue differenti espressioni. Tutta la Chiesa è carismatica, in essa si attualizza in pienezza il desiderio di Mose: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!» (Num 11, 29). Ma questa sua carismaticità si esprime nella varietà dei carismi.

Agli inizi del suo magistero, nella settima catechesi dedicata alla Chiesa, papa Francesco ha ricordato che fra i doni che essa ha ricevuto dal suo Signore fin dagli inizi, «se ne distinguono alcuni che risultano particolarmente preziosi per l’edificazione e il cammino della comunità cristiana: si tratta dei carismi».

All’inizio di quella catechesi, prima ancora di enunciare la natura del carisma, il Papa poneva una domanda a prima vista imbarazzante: «Il fatto che nella Chiesa ci sia una diversità e una molteplicità di carismi, va visto in senso positivo, come una cosa bella, oppure come un problema?».

Perché cominciare una catechesi sui carismi chiedendosi se la pluralità carismatica nella Chiesa fa problema? A chi fa problema? Il problema può stare nel fatto che la Chiesa a volte sembra fare difficoltà ad accogliere il carisma perché esso dà l’impressione di portare scompiglio al suo interno. Pochi mesi prima, il 1° giugno 2014, parlando al Rinnovamento dello Spirito, il Papa aveva accennato al pericolo di diventare «controllori» della grazia di Dio, di fare «da dogana allo Spirito Santo!». Che sia questa una tentazione soltanto all’interno del Rinnovamento dello Spirito o forse può esserlo anche all’interno dell’intera Chiesa?

C’è il legittimo desiderio che tutto sia in ordine nella Chiesa, ben regolato. I carismi invece a volte provocano scompiglio, perché non sono programmati nel progetto pastorale, portano un soffio di novità.

2. Lei citava a Papa Francesco che diceva che un carisma viene dato gratuitamente a una persona che anche gratuitamente deve trasmetterlo alla comunità come segno di ecclesialità dello stesso carisma. C’entra in questo processo la santità della persona?

Torno ancora a quella catechesi di Papa Francesco. Seguendo la definizione classica, spiegava cos’è un carisma: «è ben più di una qualità personale, di una predisposizione di cui si può essere dotati: il carisma è una grazia, un dono elargito da Dio Padre, attraverso l’azione dello Spirito Santo». È una grazia che sorpassa la persona che lo riceve: ha una chiara destinazione ecclesiale: è “un regalo” che Dio fa a una persona «perché con la stessa gratuità e lo stesso amore lo possa mettere a servizio dell’intera comunità, per il bene di tutti».

Questa destinazione ecclesiale presuppone la natura ecclesiale dei carismi: «È all’interno della comunità che sbocciano e fioriscono […] ed è in seno alla comunità che si impara a riconoscerli come un segno del suo amore per tutti i suoi figli».

Vi sono qui indicati tre elementi essenziali che definiscono il carisma: è qualcosa di gratuito che va al di là della persona che lo riceve; nascono in un contento ecclesiale; sono destinati alla Chiesa.

La persona dotata di un carisma fa da mediazione a una grazia che la supera. Potremo azzardare una analogia con l’azione sacramentale affidata al ministero di un sacerdote? Abbiamo sotto gli occhi esempi recenti di strumenti del tutto inadeguati ad essere trasmettitori di un carisma. Questo ci ricorda che esso rimane dono gratuito di Dio e va ben al di là della persona che ne è mediatrice.

È tuttavia vero che il carisma non dovrebbe lasciare inerte colui che ne è strumento, ma dovrebbe coinvolgerlo interamente, altrimenti il carismatico per eccellenza sarebbe l’asina di Balaam.

Potremmo ricordare che Origene identifica l’asina di Balaam con la Chiesa (Omelia 13, 676). Essa è schiacciata dal peso del peccato impersonato dal cavaliere pagano, ma riscattata dall’essere stata scelta come umile cavalcatura da Cristo per il suo ingresso a Gerusalemme.

3. Vedendo la diversità e quantità di carismi possiamo domandarci, devono essere così tanti?

Cosa sarebbe la Chiesa senza Benedetto, Francesco, Domenico, Ignazio, Teresa d’Avila? I nostri poderosi manuali di ecclesialogia sono capaci di svilupparsi per centinaia e centinaia di pagine senza fare un riferimento a questi grandi carismi.

Si può fare Lectio divina senza l’esperienza monastica?

Si può parlare di evangelizzazione senza l’apporto dei Domenicani, dei Francescani, degli Istituti missionari?

Si può addentrarsi nella vita di orazione e nel “castello interiore” senza Teresa d’Avila e i Carmelitani?

Si possono fare gli Esercizi spirituali senza l’esperienza dei Gesuiti? E senza tutto questo che Chiesa è la Chiesa?

Gli interventi di Dio non si sono arrestati al 1800. Lo Spirito soffia dove vuole e opera sempre nella sua Chiesa con nuovi carismi, capaci di rispondere alle nuove necessità.

4. C’è sempre il pericolo dell’autoreferenzialità, sottolineato più volte da papa Francesco, ma anche esiste la possibilità che un carisma inserendosi nelle realtà ecclesiali perda l’obbiettivo dei suoi fini specifici. Il vescovo, come può bilanciare un inserimento sempre più completo e allo stesso tempo che venga in luce per tutti lo scopo del carisma? Come declinare l’inserimento dei singoli carismi con le proprie proposte senza ricadere nell’uniformità, permettendo che ognuno possa contribuire a un piano generale.

L’intelligenza pastorale di un Vescovo credo sia nel mettere a frutti i doni ricevuti da Dio tramite i carismi. Inserire i Salesiani nella pastorale giovanile diocesana, senza che si chiudano nei loro oratori, è un arricchimento per tutti. La Caritas diocesana e internazionale ha tutto da guadagnare dalla collaborazione con carismi come quello dei Vincenziani e delle Suore delle carità. Lo stesso per le scuole, l’assistenza sanitaria, i centri di preghiera e di contemplazione… Far fare ai gruppi carismatici quello che devono fare per vocazione, senza usarli come mano d’opera per riempire i buchi.

5. Nel contesto di secolarizzazione che si trova un po’ dappertutto sembrerebbe che tutte le forze ecclesiali siano necessarie alla missione della Chiesa. Come allargare dunque l’orizzonte e lo sguardo pastorale in maniera che la molteplicità delle proposte pastorali giovino positivamente alla Nuova Evangelizzazione?

Evangelii gaudium accoglie con fiducia e speranza la novità dei carismi. Significativo il titolo dei nn 130-131: “Carismi al servizio della comunione evangelizzatrice”: «Lo Spirito Santo arricchisce tutta la Chiesa che evangelizza anche con diversi carismi. Essi sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa (LG 12). Non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice. Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti».

Occorre prendere atto con gioia che i carismi, anche quando sono ben inseriti nel territorio, rimangono disponibili per la Chiesa universale e possono aiutare le Chiese locali a rimanere aperte sulla Chiesa universale.

Linserimento nella Chiesa particolare da parte dei carismi può aiutare la Chiesa particolare a prendere maggiormente coscienza del suo essere universale, apre concretamente alla comunione con le altre Chiese e, al di di esse, verso l’umanità intera di cui la Chiesa è sacramento di salvezza.

È questa la profezia che dovrebbe caratterizzare i carismi e che dovrebbe essere l’apporto specifico che danno alla Chiesa locale: essi hanno come missione il tenere desta lattesa della venuta di Cristo, la speranza nei cieli nuovi e nella terra nuova, il cuore spalancato verso il cielo, sua ultima meta, la verità del Vangelo e delle sue promesse.

“Svegliare il mondo”, è unaltra delle parole efficaci bergogliane abbinate al carisma. “Svegliare il mondo” implica il pellegrinaggio verso il cuore del mistero cristiano e verso il mondo, le due imprescindibili dimensioni della profezia: essere rivolti verso il popolo per parlare di ciò che si è contemplato nell’essere rivolti verso Dio. Linserimento nel popolo di Dio e nella storia implica il radicamento in Dio.

Dobbiamo aiutare i movimenti carismatici ad essere fedeli alla loro vocazione, a vantaggio di tutti.



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