lunedì 10 febbraio 2020

L’avventura di Capua



Eccomi di nuovo in viaggio. Questa volta la meta è vicina: Capua.
Incontri con gli operatori pastorali e poi con il clero.
Tema: “L’annuncio della Parola, testimonianza di vita fino al martirio”

L’annuncio del Vangelo è infatti innanzitutto una testimonianza: occorre aver udito, visto, contemplato, toccato. Si comunica un vissuto, un’esperienza. Altrimenti è erudizione, forse catechesi, ma non si genera la vita.
Possiamo guardare ai testimoni per eccellenza: i martiri.
Màrtys in greco vuole dire proprio “testimone”, colui che annuncia, attesta e grida la gioia della Resurrezione. Da Stefano fino a Padre Jacques Hamel, ucciso nel luglio 2016 e di cui è in corso la causa di beatificazione. Il martirio mostra la bellezza e la serietà del Vangelo e della vita cristiana. Il martire dice la priorità di Cristo su ogni altro valore, vita compresa, è quindi annuncio di Cristo.
Potremmo rileggere le testimonianze di Policarpo, Ignazio di Antiochia, di Cecilia, Agnese…
Come Oblato di Maria Immacolata ricordo il martirio di alcuni dei nostri missionari che hanno annunciato il Vangelo con la testimonianza estrema della vita.
Sono 104 i Missionari Oblati uccisi in maniera tragica. 27 di loro sono già stati dichiarati beati dalla Chiesa.

Il primo è un Missionario Fratello, non sacerdote, Alexis Reynard, ucciso nel 1875.
Chi è Fr. Alexis? È un semplice, un puro, una di quelle presenze nascoste, senza le quali nessuna missione si può realizzare, una di quelle fondamenta nascoste, senza le quali nessun edificio si può costruire. Così ce l’ha descritto Ileana Chinnici in occasione del Convegno su “Oblazione e martirio” che abbiamo tenuto in Spagna nel maggio scorso.
Fin dall’infanzia, in Francia, ha il desiderio del sacerdozio, ma deve occuparsi dei suoi sei fratelli più piccoli. Dopo la morte del padre, contadino, affida la famiglia ad un fratello ed entra tra gli Oblati nel 1849, all’età di 21 anni, ma non ha istruzione sufficiente per diventare prete. 
Inviato nel Nord Canada nel 1852 diventa un pioniere delle nuove missioni. Fa di tutto: contadino, allevatore, boscaiolo, falegname, artigiano, pescatore …
Dio accolse, in modo del tutto speciale, il suo desiderio di sacerdozio, unendolo al sacrificio eucaristico di Gesù´. Durante una spedizione, fr. Alexis va in avanscoperta con una carovana. Con lui vi sono una guida locale, Louis, alcune famiglie meticce, e un’orfana quattordicenne, Genevieve: la stanno portando in un collegio che le suore in arrivo stanno aprendo. Alexis è preoccupato dalle attenzioni poco sane che la guida Louis, noto per la sua irascibilità e crudeltà, mostra verso la ragazza.
Chi è più povero di un’adolescente meticcia orfana? Non ha genitori, non ha affetti, non ha famiglia, non ha beni, non ha cultura ... Chi potrebbe proteggerla? Chi prenderebbe le sue difese?  Quanto conta la sua dignità di ragazza, di donna, la sua intimità, la sua femminilità? A chi potrebbe interessare, se diventasse oggetto di possesso, di violenza, di abuso, di disumanità? Géneviève è indifesa, di fronte alla libidine di Louis, un uomo violento e senza scrupoli. Ma i semplici difendono i semplici, i puri difendono i puri. Fr. Alexis, nella sua semplicità, avrà pensato di poterle fare scudo e proteggerla da quell’uomo violento.
Va così incontro al suo martirio, e al compimento del progetto di Dio su di sé: è ucciso e cannibalizzato, perché ostacolo ad uno stupro pianificato e infame, perpetrato contro una ragazzina inerme.
Alexis non è sacerdote, ma è vittima. Dio chiama Alexis a vivere in se stesso il sacrificio eucaristico: la sua carne è diventata cibo del suo carnefice, suo nutrimento nelle fredde distese senza selvaggina del Canada settentrionale. Il suo sacrificio è unito a quello di Géneviève.
Non è una testimonianza di amore evangelico di fronte agli abusi che oggi sono una contro testimonianza evangelica, anche all’interno della Chiesa?

Continuo con p. Maurice Lefebvre ucciso nel 1971 a La Paz, in Bolivia, mentre stava portando soccorso ai feriti della guerriglia; con Michael Paul Rodrigo, assassinato il 10 novembre 1987 nello Sri Lanka, mentre stava celebrando la messa; pochi giorni prima, il 28 settembre del 1987 aveva scritto alla sorella Hilda: «... La Croce non è qualcosa che appendiamo alla parete o che portiamo al collo. Gesù vi è stato appeso per primo... Così noi dobbiamo essere pronti a morire per la nostra gente se l’ora arriva e qualora essa arriva». Non manca, naturalmente la testimonianza beato Mario Borzaga…



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