mercoledì 5 febbraio 2020

Giuliana, missionaria feriale



Oggi si sono svolti i funerali di Giuliana Ciampi, Comi.
Era nata il 16 giugno 1930 a Prato, dove ha sempre vissuto.
Donna umile, discreta, silenziosa, accogliente, è stata sempre membro attivo della parrocchia retta dagli Oblati, collaborando con loro sia nell’animazione missionaria, sia nella conduzione della scuola materna, prima come membro dell’Ammi e poi come Cooperatrice Oblata Missionaria dell’Immacolata.
Si è sempre prodigata per sostenere i missionari Oblati e le missionarie Comi, con raccolte e invii di materiali di ogni tipo, e con l’offerta della preghiera e del sacrificio, segno del suo amore per quella che considerava la sua famiglia.

La malattia l’aveva resa bisognosa di assistenza sanitaria continua, e dal novembre 2007 viveva nella Casa di riposo delle Suore Domenicane di Iolo, a Prato, accompagnata dall’affetto dei famigliari e delle Comi.
La sua salute si era presto aggravata sino ad impedirle di riconoscere chi la visitava e ha vissuto così per tutti questi anni, come un seme che cade in terra per la vita della Chiesa e della Famiglia Oblata, sino alla conclusione del suo viaggio.

Vent’anni fa gli Oblati lasciarono la parrocchia di Gesù divin Lavoratore a Prato. Dopo la loro partenza Giuliana Ciampi rilasciò questa intervista a “Missioni OMI”

Giuliana, cosa ti ricordi degli inizi della parrocchia? Come hanno iniziato gli Oblati a costruire la comunità parrocchiale?
Il quartiere era la metà di ora, molto più malmesso, e composto per lo più da famiglie di operai artigiani. Io andavo nella parrocchia di Narnali. Nel 1958, venni a sapere di questi “padri oblati” e sentii dire che molta gente collaborava con loro. La cosa mi spinse a frequentare la nuova parrocchia.
P. Carlo, il primo parroco, si era subito fatto benvolere: attivissimo, aveva l'abitudine di rendere visita a tutte le famiglie. Gli stava molto a cuore di mantenere contatti stretti con la casa OMI di via Barbacane in Firenze e spesso, per le feste, ci portava lì a vedere il teatrino.
La parrocchia era organizzata con gruppi di azione cattolica per tutte le fasce di età dai più piccoli agli adulti ed era stato creato anche un coro. Tra l’altro tanti si davano da fare per le sottoscrizioni necessarie per pagare la chiesa e le opere parrocchiali. Io cominciai a fare il catechismo ai più piccoli, che si preparavano alla prima comunione, a seguire l’attività dell’AMMI e ad andare nelle case a distribuire Famiglia Cristiana.
Gli incontri dei vari gruppi, di Azione Cattolica e tutti gli altri incontri si facevano in casa Gelsumini. Fu praticamente questa la prima canonica, mentre fungeva da chiesa il garage di via Ponchielli.
Ad aiutare p. Carlo e p. Gennaro Pacelli arrivò, sempre nel 1958, p. Antonio Ciccone. P. Carlo nel 1962 fu trasferito. Curioso l’episodio della sua partenza: non disse nulla a nessuno; la mattina celebrò la Messa delle 6.30 e, senza neanche fare colazione, se ne andò.
Fu mandato allora come parroco p. Clemente Trombetta, il quale, appena arrivato, si propose immediatamente di costruire la Scuola Materna.
Per la verità, era già stata un’idea di p. Carlo che, alle prese con la costruzione della chiesa e della canonica, non era riuscito a realizzarla. Ora, con la donazione del terreno da parte della famiglia. Guarducci, si poteva davvero cominciare a pensarci. P. Clemente mise il riscaldamento in chiesa, le panche, e fece costruire il salone, che venne subito utilizzato per fare il cinema ai ragazzi la Domenica pomeriggio.
Intanto io nel 1963 iniziai ad essere aspirante COMI, le Cooperatrici Oblate Missionarie dell’Immacolata, che avevo conosciute a Roma nel corso degli esercizi spirituali dell’AMMI.
Nel 1965, col trasferimento di p. Clemente, divenne parroco p. Antonio e con lui il progetto della Scuola Materna ebbe l’impulso decisivo. Era un parroco molto attivo e, anche se aveva molti collaboratori, teneva quasi tutto in mano lui. Si interessava molto dei bambini e dei ragazzi, sia per la catechesi, sia per il tempo libero, organizzando squadre di calcio e tornei. Notevole incremento ebbero pure i gruppi dei chierichetti. Era molto vicino alle persone e alle famiglie; aveva anche molti contatti con gli imprenditori della parrocchia, il che gli permise di trovare lavoro in particolare agli immigrati che in quegli anni arrivarono in gran numero, in-
Anche con p. Antonio, come con p. Carlo, l’attività dei gruppi di A.C. fu molto intensa: incontri, gite, ritiri, ecc. Poi arrivò come aiutante p. Renato e, nel 1970, fu il turno di p. Paolo D'Er- rico e p. Giuseppe Lemmo.

E il progetto della Scuola materna?
La costruzione dell’asilo iniziò proprio in quell’anno e nel 1972 ci fu l’inaugurazione. Già dai primi mesi del 1972 p. Antonio sapeva del suo trasferimento e cercava, quindi, di affrettare i tempi per arrivare all’inaugurazione. Aveva già organizzato una sottoscrizione, mobilitando molte donne con questo obiettivo: 30.000 lire a famiglia per riuscire ad affrontare tutte, le spese. Anche se la parrocchia era stata messa al corrente della partenza di p. Antonio, lui, come p. Carlo, partì senza dire niente a nessuno. Poco dopo arrivò il nuovo parroco: p. Nicola Ferrara che si ritrovò ovviamente un’eredità molto pesante.
L'Asilo fu inaugurato l’8 dicembre. Ci si accorse subito del bisogno di una persona che potesse fare da supervisore, che stesse lì, dato che il parroco, pur essendo il direttore non poteva avere il tempo per questo. Lo proposero a me. Lasciai così il lavoro e iniziai questa nuova attività, pur non avendo istruzione. Mi resi allora disponibile per tutto quello che c'era da fare: pulizia, cucina, sorveglianza dei bambini, ecc. Furono assunte tre insegnanti, ma nessuno sapeva bene come fare a iniziare.
La provvidenza ci venne incontro facendo arrivare da noi una “Spigolatrice” (un istituto secolare di Prato), esperta in materia.
Il protagonista di quegli anni in parrocchia e all’asilo fu p. Giuseppe. La sua gioia esultante e la sua semplicità hanno lasciato un segno. I bambini dell’asilo erano tutti contenti quando la mattina andava a prenderli con il pulmino; alcuni addirittura, pur abitando vicino alla scuola, volevano andare con il pulmino per come lui li faceva divertire.
Era un sacerdote con grande spirito di preghiera e andava ogni giorno a trovare i malati. Nel 1975, un po' contro la sua volontà, fu nominato parroco: sentiva molto il peso della responsabilità. Se non sbaglio, fu nel 1980 che lasciò la parrocchia. Fu allora nominato parroco p. Paolo. Due anni dopo p. Giuseppe moriva in un incidente stradale.
Uno degli ultimi Oblati che è rimasto nel cuore di tutta la parrocchia è p. Michele Minadeo, che abbiamo sempre visto insieme a p. Paolo D’Errico.
P. Michele, che arrivò proprio in quegli anni da Firenze, dove la comunità era stata chiusa, venne a Prato, ma continuava a insegnare italiano e latino al liceo degli Scolopi a Firenze.
Gli anni in cui p. Paolo fu parroco furono gli anni in cui la parrocchia conobbe il suo maggiore sviluppo, sia come struttura (la piazza, il rinnovamento del circolo, della chiesa e dei locali parrocchiali, la cappellina, la pizzeria, il campo di calcetto), sia come pastorale e vita parrocchiale (gruppi del dopo cresima e giovanili, centri di ascolto nati dopo la missione del 1991, gruppo degli anziani, ecc.).
La parrocchia, grazie a Dio, si arricchì di numerosi col- laboratori, animatori, catechisti e volontari. Il laicato era così impegnato, attivo e coinvolto, che altre parrocchie ci invidiavano un po’. Il resto, poi, è storia abbastanza recente: la malattia e la morte di p. Michele, assistito e coccolato da p. Paolo e dalla parrocchia fino all’ultimo; p. Luigi Russo, che andava sempre a visitare i malati, fino alla partenza di p. Paolo (dopo 24 anni di ininterrotta presenza in parrocchia) e all’arrivo di p. Roberto Villa (come parroco) con p. Antonio Di Miceli.

Qual è stata la caratteristica più bella della presenta degli Oblati in parrocchia?
La loro disponibilità, una disponibilità esemplare e totale.

In tutti questi anni la parrocchia ti sembra cresciuta? In che cosa?
Le difficoltà in una comunità parrocchiale ci sono sempre, ma sempre c’è anche la possibilità di superarle: questo lasciarci dopo 42 anni è stato duro per noi. Però, con l’aiuto di Dio si va avanti; credo che la comunità sia molto maturata in questi anni e mi pare che tutti siano totalmente disponibili a collaborare con i nuovi padri. Questa disponibilità di chi collabora e lavora per il Signore e per la Chiesa a guardare oltre, senza lasciarsi condizionare nell’impegno in base a chi c’è come parroco, credo sia stata trasmessa proprio dagli Oblati: l’abbiamo imparata dalla loro disponibilità. Nonostante il sacrificio o le critiche che a volte ci sono state, nessuno si è mai tirato indietro. La presenza degli OMI in parrocchia credo sia servita anche a far scaturire in noi una maggiore sensibilità missionaria. Infatti, sono passati molti padri missionari dalla nostra parrocchia fin dall’inizio, provenienti dall’Asia o dall’America, e tutti sono stati aiutati.
Per concludere voglio dire una cosa che riassume un po’ tutta la mia esperienza: i padri Oblati sono stati e sono per me dei fratelli carissimi, sono la mia seconda famiglia.


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