giovedì 13 febbraio 2020

La Giuliana era la nostra “Giulianina”


  
È stata una vita offerta fino in fondo, fino all’ultimo: la vita compiuta; una malattia molto lunga: io l’ho vista sempre immobile; una vita vissuta nello stato vegetativo: un’esistenza davanti alla quale uno si potrebbe chiedere se ha senso mangiare (o forse meglio: inghiottire quanto ti viene messo in bocca), dormire, guardare senza vedere, senza riconoscere, senza nessuna reazione, solo qualche riflesso, qualche movimento automatico... e così per lunghi anni. Una presenza che sembra più assenza. E a volte ci chiedevamo: quanto ancora? Una spogliazione totale. Pochi sapevano chi era, che era una consacrata... La sorte comune di tanti affetti da questo tipo di malattia... 

Ma nel momento della morte ho sentito molto forte che per Giuliana era come una chiamata accolta e portata fino in fondo. Come se non fosse la malattia e la forza dell’organismo a decidere “quando”.  Ho visto morire tanti anziani, è sempre un momento molto speciale, “un toccare l’Eternità”, ma questa volta percepivo qualcosa di diverso, nonostante i soliti sintomi fisici. Può darsi che fosse un po’ il mio modo di vedere, da consacrata, e perché sapevo chi era Giuliana.
Abitualmente si sente che uno lotta per ogni respiro, che vuole aggrapparsi in tutti i modi alla vita, a volte sente paura, ansia, un’insopportabile sofferenza.
Nel caso di Giuliana sofferenza sì, ma più come fatica di chi scrive l’ultima riga della storia. Anche lo sforzo per prendere aria lo sentivo come una lotta per poter dare tutto quello che il Signore le chiedeva chiesto e tutto quello che lei desiderava dargli. Come se volesse finire la corsa, arrivare alla meta. Una grande pace, una bellezza, che magari non si vedeva, ma si sentiva, che mi ha incantata.
Quando avrei voluto interrompere la recita del Rosario, senza finire l’ultimo mistero, perché mi sembrava che già si fosse spenta, Giuliana ha ripreso ancora il respiro, come se avesse voluto dire: “continua, devo arrivare fino in fondo”, ed è rimasta fino alla “Salve Regina” e poi è andata. Sentivo che la lasciavo nell’abbraccio di Gesù che ha accolto la sua sposa, da tanto attesa. E mi sono venute in mente solo le parole: “Sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta”. 

Anche la nostra Giuliana Ciampi, come sant'Eugenio, è partita per il Cielo al canto del Salve Regina. Così mi ha raccontato la suora polacca che l'ha assistito fino alla fine. 
Mi è giunta anche la testimonianza data nella parrocchia nella quale Giuliana ha lavorato per tanti anni:

“Giulianina”. Tutti la chiamavano così. Era piccola ma una grande e instancabile lavoratrice. Una dedizione e passione profonda per gli altri, una vocazione di vita. Il suo impegno per la parrocchia era totale, e si esprimeva nella bellezza delle decorazioni di cui amava occuparsi con cura meticolosa, e si vedeva nei fiori con cui
abbelliva la chiesa e le processioni.

Una catechista che ha tramandato la sua esperienza ad altri dopo di lei e una grande passione per i giovani. C’è chi ricorda la libreria
parrocchiale che curava, con i libri in prestito per i ragazzi, e poi l’impegno per le missioni, nella raccolta dei materiali e delle mostre mercato dei Missionari Oblati e che dire della mitica “Fiera di beneficienza” che coinvolgeva tutti: dagli anziani ai giovanissimi.
Una vocazione la sua con cui rendeva testimonianza ogni giorno. Era una delle “Sorelle Oblate”, una delle COMI (Cooperatrici Oblate Missionarie dell’Immacolata), e cioè una consacrata laica che seguiva il carisma di Sant’Eugenio, fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata; coloro che hanno fondato e retto la nostra parrocchia per oltre 40 anni.
I ragazzi di allora ricordano di quando la sentivano arrivare in parrocchia. Aveva il passo pesante, e sapevano che se non fossero scappati in fretta li avrebbe messi a lavorare. Tutti la amavano e la rispettavano, era decisa e andava per la sua strada e difficilmente si arrabbiava. Ma quando questo succedeva si faceva capire bene.

Nel ‘72 quando è stato finalmente inaugurato l’asilo della parrocchia lei era lì, e si è caricata di una responsabilità enorme, a cui avrebbe dedicato ogni minuto del suo tempo. Chi ha lavorato a fianco a lei per tanti anni ricorda soprattutto la sua sensibilità grande, la sua capacità di ascoltare e di comprendere le situazioni più difficili.
Per la parrocchia era una certezza, mentre i parroci passavano e cambiavano lei rimaneva, come una roccia, ad occuparsi dell’asilo fino a diventarne la storia stessa.
La Giulianina era unica e insostituibile. Era un punto di riferimento, per i parroci, per tutti i ragazzi del catechismo e della parrocchia, per le famiglie dell’asilo. Quelli che ormai sono nonni la ricordano con tanto affetto.
Giulianina, un sorriso luminoso, una grande bellezza interiore, una totale dedizione al Signore e ai fratelli, una vita vissuta come missione e dedicata alla carità. La sua forza interiore si comprende anche con la necessità, che a volte dimentichiamo, di affidarsi.
Il suo motto, quello che ripeteva nei momenti difficili, lo ricordiamo con forza in questo momento in cui noi lasciamo andare lei: “Lascia fare a Dio, Dio è grande”. Grazie Giulianina.

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