Dalle abetaie di Val di
Zoldo alle faggete di Pian di Novello…
Intanto continuo a preparare
l’itinerario di visita ai santi di Prato. Dopo i beati Pietro, Giovanni Parenti
e Brunetto de’ Rossi, sarebbe la volta del Venerabile dom Vito Caselli (1498-1566),
il 70° Abate generale degli Olivetani, ma occorrerebbe andare al Monastero di Monte
Oliveto minore, a Barbiano, San Gimignano… un’altra volta.
Per il momento ci fermiamo
nella chiesa di san Francesco, a Prato. Oltre ai santi di Prato o vissuti a
Prato, è opportuno conoscere anche i santi che sono passati dalla città e che
vi anno lasciato una impronta durevole. Cominciando proprio da san Francesco
che nel 1212, secondo la tradizione, venne a Prato per venerare la Sacra
Cintola. Nacque allora la comunità dei frati. Agli inizi del 1228, due anni
dopo la morte del Santo è documentata la prima piccola chiesa di San Francesco,
la prima chiesa a lui dedicata, prima ancora della grande basilica di
Assisi. Il 24 luglio, solo otto giorni dopo che papa Gregorio IX aveva
proclamato Santo il Poverello d’Assisi, il Comune di Prato comprò per i frati
Minori un’altra porzione di terreno, “nel luogo detto l’Oliveto” dove fino ad
allora c’era stato il patibolo per le esecuzioni dei condannati a morte, perché
vi potessero costruire l’attuale chiesa e il convento.
È in questa chiesa che san Bernardino da Siena ha lasciato un’impronta importante quando, nel 1423, venne a predicare la Quaresima. In quei giorni Nicola di Lorenzo fu travolto da un toro: era uno degli incidenti che accedevano allora. Portarono il moribondo ai piedi di Bernardino che lo benedisse con il nome di Gesù. Nicola di Lorenzo guarì all’istante: era uno dei miracoli che accedevano allora. Questa storia, assieme alle altre della sua vita, sono state dipinte in un ciclo di affreschi nelle lunette del chiostro.
Ma forse la cosa più bella
che ha lasciato a Prato, nella chiesa di san Francesco, è la tavola con dipinto
il nome di Gesù. Fino a qualche anno fa era collocata sotto il pulpito dal quale
il santo predicava, adesso è nella cappella a sinistra dell’altare maggiore.
San Bernardino
predicava con in mano quell’icona che gli serviva per spiegare l’importanza del
nome di Gesù.
Sembra che la sigla IHS
sia comparsa già nel III secolo per indicare il nome ΙΗΣΟΥΣ (cioè "Iesous").
Le lettere H e S erano rispettivamente una eta e una sigma
dell'alfabeto greco (nelle abbreviazioni si utilizzavano le prime due lettere del
nome e l'ultima).
Questa abbreviazione è
stata successivamente interpretata come una sigla: delle parole che sarebbero apparse
a Costantino, “In Hoc Signo” (vinces), oppure “Iesus Hominum Salvator”. Il monogramma
di Gesù fu promosso anche da Giovanni Colombini, Vincenzo Ferrer...
Il trigramma di Bernardino
da Siena, sormontato dalla croce che si interseca con la h, è inserito in un sole che ricorda Cristo luce e calore, con dodici raggi
serpeggianti come i dodici apostoli, a ognuno dei quali è legata una litania sul
nome di Gesù, e otto raggi diretti come le beatitudini… Tutto attorno le parole
di san Paolo: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti,
che dei terrestri e degli inferi”. Insomma tutta una catechesi con la quale san
Bernardino teneva incantate le persone, e che rimaneva incisa nei cuori e sulle
pareti delle case, a cominciare dalla facciata del Palazzo della Signoria a Firenze.
Sant’Ignazio di Loyola
lo adottò come sigillo e presto divenne l’emblema della Compagnia di Gesù. Per questo
lo troviamo sullo stemma di Papa Francesco.
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