martedì 23 luglio 2024

A Prato con san Bernardino da Siena

Dalle abetaie di Val di Zoldo alle faggete di Pian di Novello…

Intanto continuo a preparare l’itinerario di visita ai santi di Prato. Dopo i beati Pietro, Giovanni Parenti e Brunetto de’ Rossi, sarebbe la volta del Venerabile dom Vito Caselli (1498-1566), il 70° Abate generale degli Olivetani, ma occorrerebbe andare al Monastero di Monte Oliveto minore, a Barbiano, San Gimignano… un’altra volta.

Per il momento ci fermiamo nella chiesa di san Francesco, a Prato. Oltre ai santi di Prato o vissuti a Prato, è opportuno conoscere anche i santi che sono passati dalla città e che vi anno lasciato una impronta durevole. Cominciando proprio da san Francesco che nel 1212, secondo la tradizione, venne a Prato per venerare la Sacra Cintola. Nacque allora la comunità dei frati. Agli inizi del 1228, due anni dopo la morte del Santo è documentata la prima piccola chiesa di San Francesco, la prima chiesa a lui dedicata, prima ancora della grande basilica di Assisi. Il 24 luglio, solo otto giorni dopo che papa Gregorio IX aveva proclamato Santo il Poverello d’Assisi, il Comune di Prato comprò per i frati Minori un’altra porzione di terreno, “nel luogo detto l’Oliveto” dove fino ad allora c’era stato il patibolo per le esecuzioni dei condannati a morte, perché vi potessero costruire l’attuale chiesa e il convento.

È in questa chiesa che san Bernardino da Siena ha lasciato un’impronta importante quando, nel 1423, venne a predicare la Quaresima. In quei giorni Nicola di Lorenzo fu travolto da un toro: era uno degli incidenti che accedevano allora. Portarono il moribondo ai piedi di Bernardino che lo benedisse con il nome di Gesù. Nicola di Lorenzo guarì all’istante: era uno dei miracoli che accedevano allora. Questa storia, assieme alle altre della sua vita, sono state dipinte in un ciclo di affreschi nelle lunette del chiostro.

Ma forse la cosa più bella che ha lasciato a Prato, nella chiesa di san Francesco, è la tavola con dipinto il nome di Gesù. Fino a qualche anno fa era collocata sotto il pulpito dal quale il santo predicava, adesso è nella cappella a sinistra dell’altare maggiore.

San Bernardino predicava con in mano quell’icona che gli serviva per spiegare l’importanza del nome di Gesù.

Sembra che la sigla IHS sia comparsa già nel III secolo per indicare il nome ΙΗΣΟΥΣ (cioè "Iesous"). Le lettere H e S erano rispettivamente una eta e una sigma dell'alfabeto greco (nelle abbreviazioni si utilizzavano le prime due lettere del nome e l'ultima).

Questa abbreviazione è stata successivamente interpretata come una sigla: delle parole che sarebbero apparse a Costantino, “In Hoc Signo” (vinces), oppure “Iesus Hominum Salvator”. Il monogramma di Gesù fu promosso anche da Giovanni Colombini, Vincenzo Ferrer...

Il trigramma di Bernardino da Siena, sormontato dalla croce che si interseca con la h, è inserito in un sole che ricorda Cristo luce e calore, con dodici raggi serpeggianti come i dodici apostoli, a ognuno dei quali è legata una litania sul nome di Gesù, e otto raggi diretti come le beatitudini… Tutto attorno le parole di san Paolo: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”. Insomma tutta una catechesi con la quale san Bernardino teneva incantate le persone, e che rimaneva incisa nei cuori e sulle pareti delle case, a cominciare dalla facciata del Palazzo della Signoria a Firenze.

Sant’Ignazio di Loyola lo adottò come sigillo e presto divenne l’emblema della Compagnia di Gesù. Per questo lo troviamo sullo stemma di Papa Francesco.

 

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