In cima alla
vallata la chiesa di San Vittore, un capolavoro dell’XI secolo con affreschi
del XII secolo.
Tutto il
pomeriggio lassù in alto, in autentica contemplazione…
La mattina
ho ricordato la prassi della correzione lungo la storia, a cominciare dal Nuovo
Testamento, con Gesù (Mt 18,15-22), e poi la concretezza di Paolo. Un invito,
il suo, a santificarsi insieme. Dobbiamo aver a cuore che nessun fratello si
perda. La correzione fraterna è farsi compagno di cammino di chi sbaglia,
caricarsi dei suoi pesi, condividere con lui le difficoltà, così da guadagnare
il fratello. Se dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, dobbiamo volere la
santità dell’altro come la nostra: «Fratelli, qualora uno venga sorpreso in
qualche colpa - scrive ai Galati -, voi che avete lo Spirito correggetelo con
dolcezza… Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di
Cristo» (6,1-2).
La
correzione, secondo queste parole, deve essere mossa e condotta sotto l’azione
dello Spirito. Paolo indica inoltre anche l’atteggiamento da tenere nei
confronti del fratello che sbaglia: la mitezza, la dolcezza! Fino a chiedere di
rivestirsi «di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di
mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi
scambievolmente... Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo
di perfezione» (Col 3,12-13).
Nella
comunità cristiana questa prassi si è perduta, ed è continuata in quella
monastica. Nella comunità basiliana la confessione pubblica delle proprie
mancanze era praticata quotidianamente, alla fine della giornata. Essa
garantiva l’autentica fraternità, come leggiamo nella sua regola: «Sono
veramente grandi i pesi del peccato che portano nel profondo dell’inferno, e
noi ce lo toglieremo e porteremo a vicenda, cioè li porteremo via, spingendo
alla conversione quelli che peccano».
Agostino nella
sua regola raccomanda di ammonire subito il fratello che sbaglia, «affinché il
male non progredisca ma sia soffocato fin dall’inizio [...]. Non giudicatevi
malevoli quando segnalate un caso del genere; al contrario, non sareste affatto
più benevoli se tacendo permetteste che i vostri fratelli perissero, mentre
potreste salvarli parlando. Se infatti tuo fratello avesse una ferita e volesse
nasconderla per paura della cura, non saresti crudele a tacerlo e pietoso a
palesarlo? Quanto più dunque devi denunziarlo perché non imputridisca più
rovinosamente nel cuore?». Agostino precisa anche con quale spirito va attuata
la correzione: «usando amore per le persone e odio per i vizi».
Ritroviamo
la pratica della correzione fraterna anche negli scritti di Cassiano, nella
Regola di Benedetto e in tutte le successive regole monastiche...
Nella
spiritualità dell’unità c’è come un passo in avanti: l’”ora della verità” prevede
anche il mettere in luce il positivo dell’altro, fino a scoprire insieme, con
sempre maggiore chiarezza, il disegno che Dio su ciascuno. È uno strumento per
la crescita personale e di tutta la comunità. Non soltanto ognuno diventa più
se stesso, ma si arricchisce del dono dell’altro. Sparisce quindi l’invidia,
quel sentimento amaro davanti a doti e qualità dell’altro che vorremmo avere e
che non abbiamo, che spesso diventa avversione e rancore, non tollerando che
l’altro sia di più bravo di noi, più stimato, riesca meglio di noi...
Non solo
l’invidia sparisce, ma sono orgoglioso dell’altro, perché egli è parte di me, è
me, e il suo è mio, e con lui e in lui posso essere e fare molto di più che non
da solo.
L’altro ci
trasforma, ci dà una colorazione nuova, fa scoprire noi a noi stessi e insieme
ci arricchisce.
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