16 luglio 1949: data memorabile, quando inizia la straordinaria esperienza mistica di
Chiara Lubich.
Ne ho raccontato qualche anno fa nel
libretto Viaggiando il Paradiso, tradotto in francese, inglese, corano, ceco,
slovacco e in chissà quante altre lingue…
Per ricordare i 75 anni di quell’evento in questi giorni ho scritto un pezzo teatrale, "Tra cielo e terra", presentato ieri qui a Zoldo e oggi a Falcade, con le famiglie dell'Umbria. Una decina gli "attori" coinvolti. Riuscita al di sopra delle aspettative, con evidente commozione...
Lo sceneggiato ruota attorno a una lettera che Chiara scrive a Igino Giordani da Tonadico il 27 luglio 1949 nella quale parla del rapporto tra il carisma francescano e quello domenicano, tra il fuoco, l'amore e la luce, la verità, interpretati rispettivamente da santa Chiara d’Assisi e santa Caterina da Siena.
Per collocare adeguatamente
quella lettera parto un po’ da lontano, dal 17 settembre 1948. Quella sera –
così inizia lo sceneggiato – Igino Giordani parla tra sé e sé:
«Cosa scrivo questa
sera nel mio diario?
Mi sono svegliato
presto. Mya stava ancora dormendo. Ha i capelli arruffati, ma sono sempre
belli, d’oro, anche se qualcuno è già bianco. Da quanto tempo siamo sposati? 28
anni, mi pare. Eppure siamo sempre innamorati, come il primo giorno. La lascio
dormire ancora un po’.
Ho guardato il
calendario: 17 settembre 1948, festa delle stimmate di san Francesco d’Assisi.
Chissà che celebrazioni oggi alla Verna! Scriverò una biografia su di lui,
“tutto serafico in ardore”, emblema del fuoco, dell’amore divino. Io sono
dall’altra parte, sono terziario domenicano. Dovrei essere tutta luce,
splendente di verità come Domenico, come Tommaso d’Aquino.
Il Papa li ha messi
insieme, Francesco e Caterina da Siena, i due stimmatizzati. Una decina d’anni
fa li ha proclamati patroni d’Italia. Da poco ha rivolto l’appello a tutte le
forze cattoliche per “salvare l’Italia”. Ma se non la salvano loro che ne sono
i patroni?
Al bar il solito
caffè nel quale ho inzuppato – si fa per dire – il cornetto fresco fresco,
secondo l’usanza romana. Lo faccio perché lo fanno tutti.
Infine mi sono imbarcato nel Transatlantico: Montecitorio, il Parlamento. Una bolgia.
All’appiccapanni ho
appeso cappello e soprabito. Non ho appeso la mia veste di cristiano. “Qui sei
un deputato – mi apostrofò una volta un collega – non fare troppo il
cattolico”. Perché? La mia identità non la vendo a nessuno. Si è cristiani
anche quando si sta al tornio, alla scuola, a passeggio, al caffè..., anche al
parlamento.
Eccomi dunque ad
ascoltare i soliti pettegolezzi di corridoio, a scorrere le solite pratiche…
Pensa se qui a
Montecitorio venissero assieme, Francesco e Caterina, il fuoco e la luce. La
politica sarebbe una passione autentica per il bene comune, per il bene delle
nazioni…
Ed ecco Giovannetti, il mio umile segretario…»
Meraviglioso, Padre Fabio! Mi auguro di poterlo leggere tutto intero...o addirittura vedere la rappresentazione teatrale . Grazie! Giovanna
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