giovedì 4 luglio 2024

A Baita Segantini per una comunione d'anima

Baita Segantini, 2.300 metri d’altitudine, contornata dalle Pale di San Martino: che sia una delle sette meraviglie del mondo? Una meraviglia lo è comunque…

E lassù si cantava: “Vanno tutti sulle cime della luce e dell’amor, si fa l’anima sublime scopre il volto del Signor…”. Meta ambite delle prime Mariapoli, di passeggiate durante le quali si condivideva il vissuto, le scoperte dell’amore di Dio e ciò che egli operava nell’anima: luogo di comunione d’anima!

Anche noi siamo saliti a questa meta. Prima la messa in un autentico "luogo carismatico", la chiesa di Tonadico, e poi in cammino, nella condivisione a piccoli gruppi, a tu per tu… fino all’incontro finale, sui prati, come da manuale!

Non dobbiamo credere che si tratti di qualcosa di eccezionale. Siamo nella prassi della vita cristiana, fin dalle sue origini. I riferimenti nel Nuovo Testamento sono molteplici, a cominciare dai grandi modelli della comunicazione spirituale: il Padre che dice il Verbo e il Verbo che dice se stesso, donandosi nelle sue parole; Maria, che canta il Magnificat…

Quando i discepoli tornano dalla missione che ha loro affidato Gesù, pieni di gioia raccontano la loro esperienza e questo consente a Gesù di dire a sua volta quanto di più profondo ha in cuore (cf. Lc 17).

Maria Maddalena va dagli Apostoli e condivide la sua esperienza: “Ho visto il Signore”. Lo stesso fanno i discepoli di Emmaus, gli apostoli nei confronti di Tommaso, Pietro dopo l’incontro con il Centurione, Paolo alla comunità di Antiochia al ritorno dei suoi viaggi…

Le lettere dell’Apostolo sono una costante comunione di quanto vive, dalla spina nella carne (le prove più intime) al rapimento al terzo cielo (le grazie mistiche), al rapporto personale con Gesù, ma anche i successi e fallimenti nel suo lavoro apostolico, le peripezie durante i viaggi…

Grazie alla sua esperienza esorta: «ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza» (Col 3,16). La Lettera agli Ebrei non è meno esplicita: «Cerchiamo di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone (...) esortandoci a vicenda» (Eb 10, 24-25).

In effetti non c’è vera fraternità se non si entrare nella vita del fratello e se non si consente a lui di entrare nella nostra. Senza questa comunione di vita, la fraternità rimarrà soltanto una comunanza fisica, priva di significato.

Una volta si invitava a un atteggiamento di forte riserbo riguardo alla comunicazione delle realtà della vita interiore, citando Tobia 12, 7: “È bene tenere nascosto il segreto del re”. Si dimenticava come prosegue il versetto: “ma è motivo di onore manifestare e lodare le opere di Dio”. Forse si confondeva la sincera comunione delle realtà più profonde della propria anima con l’esibizionismo, lo sfogo, lo sterile parlare di sé.

La tradizione della Chiesa ha continuato su questa linea, a cominciare da Agostino con le sue Confessioni e dopo di lui i tanti Fondatori e Fondatrici che hanno scritto la loro autobiografia. Anche S. Tommaso aveva detto che «è più perfetto donare agli altri ciò che si è contemplato che contemplare soltanto».

Quando la comunione è sincera si può constatare un reciproco arricchimento tra tutti i membri della comunità, che godono della ricchezza della complementarità dei modi di vedere, come anche delle differenti sensibilità. La varietà dei doni che ognuno apporta al vivere comune fa scomparire gelosie e invidie, perché ognuno gode del bene dell’altro, nella convinzione che, proprio in forza della comunione, esso gli appartiene come proprio. L’altro, quando partecipa il suo dono, non è più visto come antagonista. Ci si libera così dai piccoli complessi che ogni uomo porta con sé, verso una apertura serena all’altro, fino alla piena libertà interiore.

 

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