Non siamo “un branco di pecore”, dove i singoli
sono anonimi e amorfi. Nel gregge del Signore ogni persona è unica, ha un
inestimabile valore, costituisce il bene più prezioso che egli possiede, al
punto che per ognuno egli è pronto a dare la vita, tanto gli siamo cari.
Il Pastore buono ha un rapporto personale con
ognuno. Di ognuno di noi conosce la storia, i sogni segreti, le prove e i
dolori, le gioie intime. Ci conosce come nessuno ci conosce. Più ancora, è
pronto a farsi sbranare dal lupo rapace pur di salvarci. Il suo morire per noi non
è un fatalismo, un tragico incidente; è il frutto di una libera scelta: nessuno
gli toglie la vita con violenza, la dà da se stesso, perché ci ama veramente.
Instaura con noi quei rapporti di conoscenza e
d’amore che vive in cielo con il Padre, dove la conoscenza, l’amore, la
generazione sono reciproci.
Vuole coinvolgerci nello stesso gioco d’amore. Fa scattare
così la medesima dinamica che lo muove verso di noi. È la nostra vocazione:
conoscerlo a nostra volta, sapere i suoi sogni segreti, penetrare il suo
mistero, possederlo come il dono più prezioso. Rivivere con lui il rapporto
trinitario di reciprocità che egli vive con il Padre, fino a che si dilati e
giunga a coinvolgere, ad una ad una, anche le altre pecore vicine e lontane,
quelle nel recinto e quelle fuori dal recinto, così da diventare un solo
gregge, una sola famiglia, che rispecchi l’unità che si vive in cielo.
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