È di una ricchezza
straordinaria il Vangelo di oggi: la vite e i tralci. Eppure invece di una riflessione
spirituale mi sorge una domanda di poco conto.
Le parabole e gli
esempi di Gesù riguardano i pescatori, i pastori, i contadini, i muratori, i
mercanti, i giudici, le massaie…
In Matteo Gesù è
designato come "figlio del falegname". In Marco invece lo si dice direttamente come "falegname", è un lavoratore in prima persona, non soltanto figlio di un lavoratore. Ma sappiamo che la parola usata dagli evangelisti è tekton, a
indicare una persona che lavora il legno, il ferro, la pietra… Perché allora
Gesù non racconta parabole o non porta esempi tratti dal suo mondo dell’artigianato, così vario e ricco?
Eppure si presterebbe, come negli scritti dell’Antico Testamento o nelle stesse
lettere di Paolo. Il suo mestiere non gli ha offerto nessuno spunto per una
delle sue riflessioni? Oppure gli artigiani non erano tra i suoi ascoltatori?
Anche l’immagine del Vangelo
di oggi è presa dai vignaioli (nella nuova versione della CEI, seguendo il
criterio della semplificazione del linguaggio, il Padre non è più un vignaiolo, ma un generico agricoltore). L’immagine di un incastro o quello di una saldatura
– di cui Gesù doveva essere pratico – non avrebbero certamente reso.
Al di là dei miei
interrogativi puerile, questa domenica converrà soffermarsi sulla reciproca
immanenza: “Rimanete in me e io in voi…”. Va al cuore della realtà, ben al di là di una similitudine.
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