Domenica scorsa mi sono sbagliato – normale – è ho anticipato il Vangelo di oggi, quello del buon Pastore:
https://fabiociardi.blogspot.com/2024/04/non-siamo-un-branco-di-pecore.html
Allora questa volta mi lascio conquistare da una parola della
prima lettura. Pietro deve rispondere per spiegare come ha fatto a guarire il
paralitico. Semplice: “Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”.
Basta il suo nome: Gesù! Non è già una preghiera? Soltanto
chiamarlo: Gesù!
Il nome di Dio, nel mondo ebraico, non poteva essere
pronunciato. Ora poiché Dio è sceso sulla terra, s’è fatto uomo, lo si può
chiamare per nome. Il nome dice la persona, la sua identità: Gesù è ciò che
dice il suo nome: “Dio che salva”. Lo proclama l’apostolo Pietro in questo momento,
subito dopo la resurrezione: «non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato
agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (Atti 4, 12).
Paolo nella Lettera ai Filippesi parla della Resurrezione di
Gesù come della sua esaltazione da parte del Padre, espressa proprio dal dono
del nome, «il nome che è al di sopra di ogni nome»: Gesù. Gesù, il Dio che
salva, è la sua vera identità. Per questo «nel nome di Gesù ogni ginocchio si
pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù
Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre» (2, 9-10).
Nell’Oriente cristiano, fin dai primi secoli, è fiorita la
tradizione della “preghiera del Nome”, la ripetizione costante del nome di Gesù.
Anche in Occidente, a partire dal tardo Medioevo, si sviluppa la spiritualità
del Nome di Gesù. San Bernardino sceglie le tre prime lettere greche del nome
di Gesù, IHS, per disegnare le tavole con le quali parla di Gesù. L’ha messo su
tutte le case.
Basta il suo nome: Gesù! Non è già una preghiera? Soltanto l’invocazione:
Gesù!
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