L’immagine più tenace di fratel Andrea Valiante, che
rimane anche dopo tanti anni dalla sua scomparsa, è il suo passo cadenzato, che
si sentiva a distanza nei corridoi dello scolasticato di Vermicino, con la
corona in mano che sbatteva contro la stampella e quel suo essere assorto in
preghiera: un vero fratello oblato che amava passeggiare con Maria, dentro e
fuori casa. Anche nella sala da pranzo, con una mano apparecchiava, con l’altra
teneva il rosario. «Per me – scrive uno dei giovani di allora – Andrea è stato
davvero un esempio di perseveranza nella vocazione Oblata con tutte le
sofferenze vissute col sorriso ed un po’ di ironia. Ho imparato anch’io a volte
a scherzare su me stesso per andare avanti quando c’è il buio». Tra i suoi
piccoli segreti c’era quello di rinnovare ogni giorno la sua consacrazione con
la formula usata il giorno dell’oblazione. Vale la pena rivisitarla quella
formula un po’ arcaica eppure ispiratrice.
Inizia con: “Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo…”. L’oblazione
è l’atto più importante della vita dell’Oblato, quello che gli conferisce l’identità.
E in nome di chi potrebbe essere compiuto se non nel nome di Gesù? La Lettera
ai Colossesi chieda che «tutto avvenga nel nome del Signore Gesù» (3, 17),
quel nome «che è al di sopra di ogni altro nome», davanti al quale ogni
ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra (cf. Fil 2, 9-10):
nel suo nome è la salvezza! (cf. Atti 4, 12). Siamo stati segnati sulla fronte
con il suo nome (cf. Ap 14, 1), gli apparteniamo. L’oblazione ricalca il
segno battesimale e ci fissa nel suo nome, nella sua identità più profonda. Lo
conosciamo per nome! e lo condividiamo: ci fa essere cristiani autentici. Tutto
è fatto per lui: “Per te, Gesù”… anche l’atto della nostra consacrazione.
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