Seconda metà del 1600. In Francia scoppia
il dibattito sul “puro amore” tra Fénelon e Bossuet. Il puro amore sarebbe quello
stato nel quale “le anime amanti… non si preoccupano ormai più della loro
propria salvezza spirituale, tanto sono staccate da sé: non sentono neanche più
il bisogno di essere salvate…”. L’amore puro sarebbe dunque quello completamente
disinteressato, che non si aspetta nessun contraccambio; in definitiva non
punta alla relazione. È una prospettiva affascinante, che mette in luce la
gratuità dell’amore.
Oggi nel nostro dialogo è
riaffiorata quella pagina della storia della mistica e mi sono domandato: ma è
proprio questo l’amore cristiano? Se l’amore tipico cristiano è l’amore
reciproco come può essere disinteressato alla reazione?
Gesù ama fino in fondo, fino a dare
la vita per gli amici. Un amore disinteressato? No, interessantissimo, perché
mira a coinvolgere. La parabola del suo amore è la lavanda dei piedi perché i
discepoli possano “aver parte con lui”, più relazione di così: relazione con
lui attualizzata nel pane spezzato, fino ad essere concorporei con lui.
L’attuazione dell’amore “più grande”
(così lo chiama Giovanni, non “amore puro”) è sulla croce, dove Gesù dà la sua
vita liberamente, senza che nessuno gliela tolga. È l’immolazione perfetta,
nella più alta espropriazione di sé. Ma è disinteressata? È interessatissima.
Quel grido di solitudine e di abbandono sulla croce è la richiesta di un
rapporto con il Padre che sembra negato. Diventa la rivelazione di una
relazione che da sempre lega il Figlio al Padre nello Spirito e ne è il pieno
rinnovamento, dialogo incessante. Diventa fonte di rapporti degli uomini tra
loro e con Dio.
Si dona sempre senza aspettare
ritorno, gratuitamente, e sempre col desiderio del ritorno perché si instauri
la reciprocità dell’amore e si possa vivere “secondo natura”, secondo la nostra
natura vera, che è vita trinitaria.
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