Dopo i primi 100 giorni di pontificato di papa Francesco annotavo una serie di gesti che mi avevano particolarmente colpito: la visita ad un cardinale amico ricoverato in ospedale, la lavanda dei piedi ai giovani carcerati, tra cui una ragazza musulmana, con un’omelia di tre minuti, la vicinanza fisica alla gente, la messa quotidiana con il personale del Vaticano, cominciando dai netturbini… Scendere dalla camionetta per abbracciare un paralitico, mettere il ciuccio in bocca a un bambino che piange impaurito...
Gesti – scrivevo – che non si improvvisano, ma che gli sono
diventati abituali nel lungo esercizio di una vita. Sono gesti, questi, che
parlano più delle parole, o che danno sostanza alle parole.
Con i gesti le parole, che da quelli acquistano una nuova
credibilità. Parole chiave tornano di frequente nei suoi discorsi. Al termine
dei fatidici 100 giorni raccoglievo le prime.
“Novità”, a indicare la volontà di mantenersi aperti e
fiduciosi in quelle che chiama le “sorprese” di Dio nella storia. È l’invito a
non avere paura, a guardare al futuro, a lasciarsi guidare dallo Spirito che “spinge
la Chiesa ad andare avanti”, evitando di “addomesticarlo”, e di ripudiare la
“novità” conciliare.
“Rispetto e dialogo”.
Il giorno stesso della sua elezione ha scritto al rabbino capo di Roma, Riccardo Di
Segni, invitandolo all’inaugurazione del suo pontificato e affermando di voler
“contribuire al progresso che le relazioni tra ebrei e cattolici hanno
conosciuto a partire dal Concilio Vaticano II, in uno spirito di rinnovata
collaborazione e al servizio di un mondo che possa essere sempre più in armonia
con la volontà del Creatore”. Stessa apertura verso “la promozione
dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose”.
Rispetto e dialogo si sono fatti gesto eloquente nel primo incontro con i
giornalisti: imparte una benedizione soltanto con il cuore “rispettando la
coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio”. Nel
libro intervista curato da Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, Bergoglio
affermava: “La cultura dell’incontro è l’unico modo di far andare avanti la
famiglia e i popoli”.
“L’odore delle pecore” è un’altra delle parole fortunate
rivolta ai sacerdoti il giovedì santo invitandoli a vivere in mezzo alla gente.
Abbiamo un papa che ha addosso l’odore delle pecore.
Di qui altre due parole eloquenti ripetute all’infinito:
“uscire” e “periferie”, andare incontro agli altri lì dove essi vivono, nelle periferie
fisiche ed esistenziali. Il Papa rilegge la parabola di Luca con una nuova
attuale matematica: non ci sono più 99 pecore nell’ovile e una smarrita che
occorre andare a cercare; nell’ovile ne è rimasta una soltanto, le altre 99
sono fuori ed è inutile stare a “pettinare” l’unica rimasta: “uscire da noi,
come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso
per tutti noi”.
Questa che ho copiato è la presentazione di un mio
libretto del 2021, quando raccolsi alcuni brevi appunti di suoi gesti e parole,
annotati in maniera non sistematica, lasciandomi guidare dalle occasioni: "Parole e gesti di papa Francesco". Il
cardinal Del Re, nell’omelia per il funerale di papa Francesco – che ho potuto
seguire anche da qui in Cemeroun –, ha ricordato molti altri suoi gesti e molte
altre sue parole mostrandoci la su grandezza e la sua vicinanza.
Tra “parole” di papa Francesco da me raccolte, mi piace
rileggere “popolo”:
Il “cammino sinodale”, chiesto a tutta la Chiesa, non potrà
essere percorso se non individuiamo chiaramente il soggetto di tale cammino:
l’intero “popolo di Dio”, che non è sinonimo – altro fraintendimento – di
laici. Esso è composto da tutti i diversi soggetti ecclesiali, dal Papa ai
laici, tutti “fedeli” per il battesimo e la partecipazione al sacerdozio
comune. Soltanto così si può instaurare una “comunione” autentica, con
relazioni orizzontali, davvero fraterne, che superi una visione di Chiesa piramidale.
«Avete sperimentato – rilevava il Papa parlando ai giovani
italiani riuniti al Circo Massimo a Roma – quanto costa fatica accogliere il
fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la
sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure. Camminare
soli permette di essere svincolati da tutto, forse più veloci,
ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. Il
popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza dell’appartenenza al popolo di
Dio… E col popolo di Dio ti senti sicuro, nel popolo di Dio, nella tua
appartenenza al popolo di Dio hai identità. Dice un proverbio africano: “Se
vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a
qualcuno”» (11 agosto 2018).
Grazie Padre Fabio sempre di più conosceremo l'umiltà =grandezza di Papa Francesco e queste tue pagine ci aiutano a conoscerlo ancora di più.
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