La vita consacrata può essere letta come un’espressione profetica del cammino e del pellegrinaggio umano e soprattutto cristiano: un pellegrinaggio. Essa, convenzionalmente, nasce con il mettersi in cammino di Antonio del deserto. Il suo è un itinerario che lo porta nel deserto, sempre più lontano dal villaggio di origine. La Vita Antonii descrive le tappe progressive del viaggio, che acquista una valenza teologica e si trasforma in un autentico pellegrinaggio: è un cammino verso Dio, verso una comprensione e una immedesimazione sempre più profonda di Cristo: diviene “l’amico di Dio”; ha una valenza antropologica: è la progressiva liberazione della propria umanità da ogni condizionamento per trovare l’armonia e la purezza delle origini, fino a far nascere l’”uomo nuovo”; ha una valenza ecclesiale: più egli si allontana dal consorzio umano più la sua vita diventa feconda per la Chiesa sbocciando in autentica paternità, fino a farlo diventare “apa” Antonio. La sua motivazione iniziare è decisamente evangelica, rispondente all’invito: “Va, vendi tutto, dallo ai poveri, e seguimi” (cf. Mc 10, 21). È una interpretazione letterale della sequela Christi.
L’itineranza fisica verrà presto guardata con sospetto, a favore della stabilità, anzi sarà espressamente condannata, almeno in certe sue evidenti deviazioni. Basterà ricordare la Regola di Benedetto che ostracizza i “girovaghi” «perché per tutta la vita passano da un paese all’altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri, sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie e dei piaceri della gola, peggiori dei sarabaiti sotto ogni aspetto» (1, 10-12). Nello stesso tempo la stabilitas, intesa come perseveranza, che si attualizza nel radicamento nella propria cella, nel monastero, nella comunità, è sempre una stabilitas in peregrinatione; il monaco rimane uno straniero, perché la sua patria è il cielo.
Eppure il richiamo al viaggio e al pellegrinaggio fisico,
anche in considerazione dei modelli biblici, continua ad attrarre. A volte si
esprime in maniera personale, devozionale, basti pensare alla monaca (?) Egeria
“pellegrina” che dalla Spagna va in Terra Santa, e al suo scritto
Itinerarium o Peregrinatio. Presto la peregrinatio pro Christo
diviene una vera e propria istituzione, soprattutto a partire dall’Irlanda. Non
vi sono deserti nella verde Irlanda, né monti su cui ritirarsi – vi sono
soltanto dolci colline. Ecco allora che il viaggio si compie sul mare, come per
Brendano, o verso le isole, o in terre straniere come per Colombano. Molti
monaci, già inclini alla vita nomade, si fanno pellegrini ed emigrano verso la
Scozia, la Gallia, la Germania, l’Italia. Mossi da una iniziale motivazione
ascetica, si trasformano presto in grandi evangelizzatori. Il movimento missionario
non caratterizzerà soltanto il monachesimo irlandese, ma diverrà una
caratteristica di gran parte dei monaci e successivamente delle più differenti
forme di vita consacrata.
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