Siamo in montagna, a 1.500 metri. La natura è splendida
nelle sue infinite variazioni di verde che spicca sulla terra rossa. L’uomo l’ha
domata e coltivata: ananas, banane, cocco, caffè, papaia, mango..., ma non l’ha
deturpata, direi quasi che l’ha abbellita.
Questa mattina sono andato a zonzo per i sentieri di
montagna. La zona è abbastanza abitata, anche se le case sono nascoste nella
vegetazione. Le mie quattro parole di inglese mi permettono di intrattenermi un
po’ con quanti incontro: bambini che giocano con il cerchio o con un’elica
fatta con una foglia d’albero, oppure che portano in testa le loro bacinelle d’acqua;
donne che lavorano nell’aia davanti casa; giovani in vacanza (abitualmente
studiano nei collegi di Fontem)... Un’umanità bellissima. I bambini poi sono un
incanto e si fa presto a fare amicizia. Ma tutti, anche i grandi, sono molto
cordiali.
La vita del missionario qua è ancora dura: quella da manuale del
missionario di una volta. Hanno costruito pozzo, serbatoio, diga, condotte d’acqua,
dispensario... Il missionario deve ancora saper far tutto: tecnico,
muratore, medico, elettricista, meccanico, falegname...
La nostra formazione deve essere sempre più qualificata
ed esigente, perché esigente è la vita di missione. La solitudine, l’isolamento,
le difficoltà ambientali e di ogni tipo esigono nervi d’acciaio, profondo equilibrio
umano, capacità di resistenza fisica e psichica, capacità di tenuta, provato
spirito comunitario, umiltà, distacco, pazienza, una magnanimità a tutta prova.
E soprattutto prontezza nel saltare, immediatezza nel bruciare il negativo, le
contraddizioni, le incomprensioni, i fallimenti, per essere sempre al di là,
sempre al di là, sempre al di là, sempre risorti, sempre nel soprannaturale.
Quale ginnastica: “Atleti di Dio” è più che uno slogan per le giornate dei giovani.
Sono alcune righe di una lunga lettera
scritta ormai 40 anni fa, la prima volta che sono stato in Cameroun. Sono poi tornato
altre volte. Sono tornato anche questa volta…
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