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sabato 8 marzo 2025
venerdì 7 marzo 2025
Il pellegrinaggio: un santo viaggio
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Nelle bolle di indizione degli anni santi il pellegrinaggio è presentato come una pratica essenziale, necessaria. Esso ha tratti antropologici e una ritualità che lo accomunano ad ogni altro tipo di pellegrinaggio umano. Ne accenniamo brevemente ad alcuni:
- domanda una decisione iniziale,
quasi la risposta ad un invito, forse anche inconscio, verso qualcosa di nuovo,
di diverso, di bello. «Ogni Anno giubilare – scriveva Giovanni Paolo II nella
bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000, Incarnationis mysterium,
4 – è come un invito ad una festa nuziale. Accorriamo tutti, dalle diverse
Chiese e comunità ecclesiali sparse per il mondo, verso la festa che si
prepara»;
- anche se intrapreso da soli,
durante il viaggio ci si trova in compagnia di altri, con i quali si condivide
il cammino. Per un cristiano è sempre cammino di Chiesa, “sinodale”, capace di
«rafforzare ed esprimere il comune cammino che la Chiesa è chiamata a compiere
per essere meglio segno e strumento di unità di armonia nella diversità» (Incarnationis
mysterium, 4);
- le soste non distolgono dalla
meta, ma rinfrancano le forze per proseguire con maggiore decisione;
- è occasione per conoscere il
mondo attorno, che presenta sempre aspetti di novità. Non a caso il termine peregrinatio,
in latino, significa “viaggio in terra straniera”. «Non trascuriamo, lungo il
cammino, – ricorda Papa Francesco – di contemplare la bellezza del creato e di
prenderci cura della nostra casa comune»;
- è comunque un cammino che ha le
sue difficoltà e le sue prove; vi è legata l’idea di penitenza. Per questo, a
differenza del turismo, privilegia sobrietà ed essenzialità. Alla fine del
primo Anno Santo, il 25 dicembre 1300, Bonifacio VIII nella bolla Ad honorem
Dei, ricordava «la difficoltà del viaggio, la fatica e le spese che il
popolo cristiano ha sostenute nel suo pellegrinaggio» e anche tutti coloro che,
messisi in cammino per ottenere l’indulgenza erano morti durante il viaggio;
- il raggiungimento della meta, che fin
dall’inizio ha attirato con il suo magnetismo spirituale, segna il culmine del
pellegrinaggio: il contatto con Dio – mediato dallo stesso contatto fisico con
edifici, monumenti, reliquie, le tombe degli Apostoli – si fa sensibile,
infondendo un senso di rinascita;
- il rientro alla vita quotidiana
implica la condivisione con gli altri dell’esperienza compiuta.
Assieme a questi tratti comuni ad
ogni tipo di peregrinatio, il cammino giubilare presenta alcune
peculiarità. Anche qui un accenno fugace:
- «la Chiesa ha sempre celebrato
il Giubileo come una tappa significativa del suo incedere verso la pienezza in
Cristo»;
- è come un “sacramento” che fa
prendere coscienza del carattere transeunte della situazione umana, della sua caducità
e provvisorietà: «Poiché non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella
futura» (Eb 13, 14);
- è un appello ad un’esperienza di
distacco interiore, di spogliazione per una libertà dello spirito che non deve
mai lasciarsi imprigionare dal contingente, a riprendere con nuovo slancio e
decisione il cammino spirituale;
- è presa di coscienza della
precarietà della vita e del bisogno di condivisione con gli altri. Con il termine
di età medievale homo peregrinus si descriveva una persona che viaggiava
“per agro” e cioè fuori dalle città, per campi, uno straniero che non conosceva
la strada, che aveva bisognoso di continue informazioni dagli indigeni, di
sostegno, di ospitalità…;
- non è fine a sé stesso, ma è un momento
di grazia che consente di tornare nell’ambiente ordinario di vita, agli impegni
abituali, per portarvi quell’anelito di Cielo che il luogo del pellegrinaggio
ha ravvivato.
In definitiva il pellegrinaggio
pone la stessa domanda che la tradizione pone sulla bocca di Gesù, rivolta a
Pietro che vuole fuggire da Roma e quindi dalla sua piena condivisione con la
croce di Cristo: Quo vadis? Dove è orientata la vita? Il pellegrinaggio
può diventare una benedizione, quella che esprime il salmo 83 (3), 6: «Beato
chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio». Il
pellegrinaggio, la vita stessa, può trasformarsi in un “santo viaggio”.
giovedì 6 marzo 2025
Il pellegrinaggio: homo viator, homo religiosus
Il pellegrinaggio è una particolare espressione dell’itineranza umana.
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La prima motivazione che fa
muovere l’umanità è la necessità, il bisogno di nuove terre e pascoli, di
sicurezza… Non diversa è la motivazione che fa intraprendere il pellegrinaggio:
c’è sempre una necessità, anche se diversa da quella che muove la migrazione
come tale. C’è un interesse: il bisogno di una guarigione, di una grazia; più
profondamente il bisogno di purificazione, di pace interiore, di ritrovare il
senso della vita, di salvezza…
A
differenza dell’itineranza, che spesso è una fuga verso una terra che non si
sa, il pellegrinaggio ha una meta precisa, un luogo sacro: un fiume, un
santuario, la tomba di un eroe o di santo, una reliquia… Va verso una meta che
le generazioni passate hanno indicato come luogo sicuro dove trovare ciò di cui
si sente il bisogno, capace di appagare i desideri più materiali e quelli più
nascosti e forse inespressi. L’homo viator è anche homo religiosus:
il senso del sacro è peculiare della natura umana.
Non sappiamo come questo si
esprimesse nella preistoria, ma la documentazione storica è ricchissima al
riguardo. In Giappone lo shintoismo ha dato vita a pellegrinaggi verso numerosi
templi e santuari, come quello di Isé dedicato ad Amaterasu, la dea solare, ai
33 santuarî di Kwannon, dea benevola per le miserie umane, al Fuji-yama, la montagna
più alta… In India i fiumi Gange, Jumnā, Narbada sono alcune tra le tante mete
di pellegrinaggi secolari, così come Kapilavastu dove nacque il Buddha, Budh
Gayā dove ricevette l’illuminazione, Benares dove tenne la prima predica,
Kusinagara dove morì… Potremmo percorrere tutta l’Asia seguendo gli innumerevoli
pellegrinaggi. Più vicino a noi, basta accennare al tempio di Delfi, in Grecia,
dove ci si recava per conoscere gli oracoli del dio Apollo, che parlava per
bocca di una sacerdotessa, la Pizia. A Roma erano meta di pellegrinaggio i santuari
di Giove Laziale, di Diana Nemorense, di Giunone Lanuvina.
La tradizione ebraica si inserisce
in questo substrato umano comune a tutte le religioni. Il pellegrinaggio al
tempio di Gerusalemme, soprattutto in occasione della Pasqua, ma anche quelli
di Pentecoste e dei Tabernacoli, caratterizza la religione di Israele e i salmi
graduali, i canti "della salita", ne esprimono la spiritualità.
L’Islam e il cristianesimo continuano
questa esperienza. A ogni credente musulmano che ne abbia le possibilità e la
salute fisica, è richiesto di compiere almeno una volta nella vita il
pellegrinaggio alla Mecca, dove è conservata la Ka‘ba: è uno dei cinque pilastri
dell’Islam.
Per il cristiano il viaggio in
Terra Santa, dove può conoscere e venerare i luoghi di Gesù, è una pratica che
risale ai primi secoli. Come non ricordare le testimonianze di Elena madre di
Costantino, Girolamo, Egeria, fino a Francesco d’Assisi, Brigida di Svezia,
Ignazio di Loyola… Le mete si sono poi diversificate, da Santiago di
Compostella ai Sacri Monti della Lombardia e del Piemonte: Varallo, Orta, Oropa,
Domodossola… Fino a Guadalupe, Lourdes, Fatima, Medjugorje… Le tombe degli
apostoli a Roma fin dall’antichità divennero la meta più ambita, soprattutto
dopo che l’accesso alla Terra Santa fu precluso dalle nuove conquiste. Nel
Medioevo nuovamente “tutte le strade portano a Roma”, la via Francigena, la via
Romea…
mercoledì 5 marzo 2025
don Enrico Pepe: una roccia
Oggi il funerale di don Enrico Pepe, primo di nove fratelli
e sorelle: eloquente la testimonianza di una delle 72 tra nipoti e pronipoti.
Li ha sposati tutti lui! Nel 1964 lascia questa bella famiglia per
un’esperienza missionaria fidei donum in Brasile, dove rimarrà per venti anni,
evangelizzando e formando generazioni di preti, di cui più di una decina sono
poi diventati vescovi. Tornato in Italia si è stabilito a Grottaferrata, nel
Centro Sacerdotale. È lì che l’ho conosciuto, con il suo perenne sorriso: una
persona che dava il senso della sicurezza, della fedeltà…
Una volta ha detto: “Ho passato anch'io le mie notti e quando la tentazione mi voleva far prendere decisioni fuori dell'unità ho avuto la grazia di ragionare così: «Se mi trovo in questo carisma è perché Gesù in mezzo mi ha attratto e chiamato. Se devo uscire da questo carisma, è lui che mi deve buttar fuori. Io, pur non capendone il perché e soffrendo magari le pene dell'inferno, devo rimanere fedele alla sua chiamata». Abbracciando Gesù abbandonato, anche quando umanamente sembrava assurdo, ho sempre ritrovato la luce del Risorto, di Gesù in mezzo a noi. E ho visto ravvivarsi attorno a me la vita della Chiesa: nelle parrocchie in cui ho lavorato, fra i tanti sacerdoti con cui ho potuto condividere l'Ideale, fra i centinaia di seminaristi per i quali ho tenuto esercizi e ritiri spirituali e molti dei quali hanno fatto loro la vita dell'unità. Alcuni di loro oggi sono vescovi".
martedì 4 marzo 2025
Quaresima: alla scoperta dei cieli
“Il cielo dentro di me”. Il titolo del libro scritto lo
scorso anno sembra essere adatto per iniziare la Quaresima, richiama l’interiorità
che questo periodo liturgico domanda di vivere.
Oggi, nella lettura del commento al Cantico dei Cantici di Bernardo
di Chiaravalle, sono giunto alla descrizione dell’anima definita come un “cielo”.
L’aveva definita così già Gregorio Magno. Ma l’aveva definita così, ricorda
Bernardo, Gesù stesso dicendo: “Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora
presso di lui”. L’aveva detto anche Paolo affermando che “per la fede Cristo abita
nei nostri cuori”.
L’anima, continua Bernardo, si chiama “cielo” perché viene
dal cielo. «Ogni anima può non solo essere detta “celeste” a motivo della
propria origina, ma anche essere giustamente chiamata “cielo”, perché lo
riproduce… Un’anima santa è infatti un cielo…».
Però attenzione! «perché un’anima possa diventare come un
cielo e una dimora di Dio, dovrà essersi innanzitutto svuotata da tutte le cose
cattive… Inoltre è necessario che essa cresca e si dilati per poter accogliere
Dio». E come fare? «La sua ampiezza è il suo amore, come dice l’Apostolo: “Dilatatevi
nella carità”… Dunque, la grandezza di un’anima si misura dalla carità che
possiede…».
Poi Bernardo si guarda attorno e con sorpresa scopre tanti altri
cieli oltre la sua anima: «questa Chiesa, che è ancora pellegrina, ha i suoi
cieli, cioè gli uomini spirituali, insigni per vita e fama, puri nella fede,
saldi nella speranza, generosi nella carità, trepidanti nella contemplazione…
Essi mostrano il vangelo della pace».
Dilatare il proprio cielo con la carità e scoprire i cieli
degli altri: un bel programma per questa Quaresima.
lunedì 3 marzo 2025
Scrittori Oblati
Mi dicono che in Italia si pubblicano 12 libri l’ora, ossia 282
titoli ogni giorno e 102.987 in un anno. Che siano più gli scrittori che i
lettori?
Comunque questa sera ho presentato in comunità gli ultimi
libri scritti da Oblati. Accanto ai libri di Macaire Manimba Mane, Marcellino Sgarbossa,
Athanasius
von Whedon, Emmanuel Fernando, l’ultimo numero della rivista
“Oblatio”: vale proprio la pena leggerlo! La parte dedicata all’attualità
racconta dell’impegno degli Oblati nel campo della giustizia e della pace, con
un’esperienza mozzafiato di p. Maurice LeBlanche in Sud America e all’ONU. La sezione
storica ripercorre l’affascinante avventura del nostro vescovo di Aosta Maturino
Blanchet. Non mancano visioni sulla nostra vocazione nel mondo di oggi, offerte
dal superiore generale, dal procuratore generale, dal responsabile centrale del
laicato oblato…
10 articoli che mostrano una famiglia carismatica viva.
domenica 2 marzo 2025
Homo viator: il viaggio della vita
Sto preparando un articolo sul “pellegrinaggio”, uno dei temi del Giubileo. Per adesso ho scritto una specie di introduzione…
Accanto all’homo sapiens, l’homo faber, l’homo ludens, potremmo descrivere l'umano come homo viator. Originariamente questo termine indicava un messaggero, uomo che conosce la via e la meta, consapevole del cammino che sta per percorrere, sicuro di compiere la sua missione. Potremmo pensare l’homo viatos anche come un homo vagans, termine imparentato con vāhas, carro, veicolo, bestia da soma, che indica una precisa mancanza di meta. L’espressione appare forse per la prima volta nel corpus di leggi emanato da Enrico I d’Inghilterra, ove si riuniscono sotto un unico genere i fuggitivi e i vagabondi. Si conoscevano già comunque i clerici vagantes. Un termine, “vagus”, che indica irrequietezza, instabilità, una connotazione piuttosto negativa, molto diversa da quella di viator. Tuttavia nelle fonti latine vagans si accompagna a dispersus, exsul, errans, come i pesci nel mare (Orazio, Satirae 2, 4, 77), gli uccelli in cielo (ivi, 4, 4, 2), le pecore per i pascoli (Id. Carm., 3, 13, 12), i corpi celesti (stellae, luna, aurora) … Homo vagans dice dunque più di irrequietezza e instabilità, dice vita che domanda di crescere e di espandersi, desiderio di ricerca, di esplorazione, di novità. È semplicemente homo itinerans, perennemente in viaggio (iter-itineris). Scegliamo dunque il termine homo viator che esprime in maniera più positiva il suo essere in cammino, senza tuttavia dover rinunciare a quel senso di insoddisfazione, insito nel termine vagus, che caratterizza l’uomo per la sua tensione a trascendersi costantemente.
L’uomo e la donna sono in cammino fin dalle origini – fa parte della loro natura –, da quando Adamo ed Eva, primi esuli, lasciarono il paradiso terrestre. Il tema del viaggio, tra ritorno ad una patria perduta e ricerca di mondi nuovi, attraversa le letterature di ogni secolo e di ogni latitudine, da Gilgamesh agli Argonauti, da Ulisse a Enea, dai romanzi di Verne ai libri di viaggio.Viaggi storici, da Pitea, il
primo greco a spingersi nel nord Europa e a descrivere fenomeni come l’aurora
boreale e il sole di mezzanotte, a Marco Polo e i grandi esploratori e
colonizzatori del Cinquecento e del Seicento, da Matteo Ricci a Magellano, da
Willem Janszoon a James Cook. Viaggi fantastici, come quello di Dante nella Commedia,
dell’Ariosto nell’Orlando furioso.
Anche Abramo si mette in
cammino e da allora la storia sua e della sua gente sarà quella di un “arameo
errante”, tanto che questa espressione lo definisce per sempre ed entra nel
“credo” ebraico (cf. Deut 26, 5). Con l’Esodo dall’Egitto l’itineranza
diventerà una categoria chiave per esprimere la natura e la vocazione del
popolo d’Israele.
Dalla letteratura e dalla
storia potremmo passare alla musica, ad esempio, alla «Wanderer-Fantasie» di
Franz Schubert, pietra miliare di tutto il pianismo. Il secondo movimento è
basato su un frammento del Lied «Der Wanderer» (da cui il titolo apocrifo dell’opera
pianistica) che canta:
«Con quanta chiarezza la
luce della luna
mi parla,
animandomi al viaggio:
“Segui fedele l'antico sentiero,
non scegliere nessuna patria.
Eterne pene
ti recheranno altrimenti i giorni duri.
Via, verso altri luoghi
tu devi andare, devi errare,
sfuggire leggero ogni lamento».
Reale o immaginario, il
viaggio ci accompagna sin dalle origini: ci si muove fisicamente o con la
fantasia. La dimensione migratoria che ha guidato per 200.000 anni l’homo
sapiens – sedentarizzato soltanto da poche migliaia di anni – rimane un
istinto potente che spinge al cambiamento, al nuovo, con in fondo l’obiettivo di
conoscere il mondo e soprattutto sé stessi. Al punto da arrivare a dire «Navigare
necesse est, vivere non necesse», l’esortazione che, secondo Plutarco,
Gneo Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza a
imbarcarsi alla volta di Roma a causa del cattivo tempo.
Ma l’uomo è diventato viator
non soltanto e non primariamente per questioni filosofiche o romantiche, ma mosso
dalla necessità: la carestia che genera la fame, le avverse condizioni atmosferiche
che spingono alla ricerca di nuovi pascoli e nuove terre, le invasioni di
popoli nemici e le guerre che causano la morte e spingono alla fuga…
Motivazioni che si perdono nella notte dei tempi, le stesse che obbligano oggi
ad attraversare il deserto del Sahara sfidando la morte, il Mediterraneo su
barche fatiscenti, i Balcani tra le più feroci angherie, i confini con gli
Stati Uniti per poi essere espulsi… E l’uomo si ritrova ad essere vagans,
dispersus, exsul, errans… Condanna, scelta, anelito, opportunità…
L’essere in itinere assurge a figura del cammino della vita, anche
interiore, con grande ricchezza di simboli.
sabato 1 marzo 2025
La grazia del Giubileo: ricominciare
Questo pomeriggio nella chiesa delle Clarisse ad Abano per il primo dei tre incontri sul Giubileo. Il tema affidatomi: "La grazia del Giubileo". Mi sono bastate tre parole. La prima: ricominciare. Mi sembra sia questa la parola centrale del Giubileo, anche guardando al Giubileo indetto dalla Bibbia che ne raccomanda la convocazione ogni 50 anni.
Secondo
il libro del Levitico 25, 8-13 durante il cinquantesimo anno
• I debiti sono cancellati.
• Gli schiavi sono liberati e le famiglie possono riunirsi.
• Le terre confiscate o vendute tornano ai proprietari
originali.
• I campi restano incolti per permettere alla terra di
riposare.
«Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la
liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo;
ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il
cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura
di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non
potate. Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il
prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo ciascuno tornerà nella
sua proprietà».
Forse gli ebrei non hanno mai messo in pratica queste norme.
Esse costituiscono come un’utopia, un sogno di rinnovamento totale, il bisogno
di rinnovare l’alleanza con Dio, il desiderio che venga offerta la possibilità
di ristabilire equità e armonia nella comunità, ricordando che tutto appartiene
a Dio e che l’uomo è solo un amministratore dei beni della creazione. Era
un’offerta di grazia data a chi era rimasto indietro, un modo per non
dimenticare nessuno, perché nessuno rimanesse schiacciato dai propri fallimenti
o ingabbiato dentro logiche di morte. Potremmo dire che era un tempo che
offriva la possibilità di ripartire, una sosta per ricominciare a vivere e a
sperare; perciò un tempo di grazia.
Anche Gesù ha indetto un Giubileo. Luca 4, 16-21: «Venne
a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella
sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il
rotolo e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore.
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e
sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora
cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete
ascoltato».
Cos’è tutta la vita pubblica di Gesù se non la proclamazione della “buona novella” che saremo finalmente liberi? la proclamazione del “regno di Dio”, «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace»?
L’Anno Santo risponde a questo desiderio che ogni persona
ha in cuore: concedetemi un’amnistia totale dei miei sbagli, dei miei
fallimenti, che non debba portarmeli addosso per sempre, sono un peso che non
mi permette più di andare avanti; datemi la possibilità di essere nuova, non
continuate a giudicami per quello che ho fatto di male, lo riconosco, ma adesso
basta, fatemi ricominciare…
È questo il
Giubileo, l’anno di grazia del Signore: azzerare per ricominciare.