Sto preparando un articolo sul “pellegrinaggio”, uno dei temi del Giubileo. Per adesso ho scritto una specie di introduzione…
Accanto all’homo sapiens, l’homo faber, l’homo ludens, potremmo descrivere l'umano come homo viator. Originariamente questo termine indicava un messaggero, uomo che conosce la via e la meta, consapevole del cammino che sta per percorrere, sicuro di compiere la sua missione. Potremmo pensare l’homo viatos anche come un homo vagans, termine imparentato con vāhas, carro, veicolo, bestia da soma, che indica una precisa mancanza di meta. L’espressione appare forse per la prima volta nel corpus di leggi emanato da Enrico I d’Inghilterra, ove si riuniscono sotto un unico genere i fuggitivi e i vagabondi. Si conoscevano già comunque i clerici vagantes. Un termine, “vagus”, che indica irrequietezza, instabilità, una connotazione piuttosto negativa, molto diversa da quella di viator. Tuttavia nelle fonti latine vagans si accompagna a dispersus, exsul, errans, come i pesci nel mare (Orazio, Satirae 2, 4, 77), gli uccelli in cielo (ivi, 4, 4, 2), le pecore per i pascoli (Id. Carm., 3, 13, 12), i corpi celesti (stellae, luna, aurora) … Homo vagans dice dunque più di irrequietezza e instabilità, dice vita che domanda di crescere e di espandersi, desiderio di ricerca, di esplorazione, di novità. È semplicemente homo itinerans, perennemente in viaggio (iter-itineris). Scegliamo dunque il termine homo viator che esprime in maniera più positiva il suo essere in cammino, senza tuttavia dover rinunciare a quel senso di insoddisfazione, insito nel termine vagus, che caratterizza l’uomo per la sua tensione a trascendersi costantemente.
L’uomo e la donna sono in cammino fin dalle origini – fa parte della loro natura –, da quando Adamo ed Eva, primi esuli, lasciarono il paradiso terrestre. Il tema del viaggio, tra ritorno ad una patria perduta e ricerca di mondi nuovi, attraversa le letterature di ogni secolo e di ogni latitudine, da Gilgamesh agli Argonauti, da Ulisse a Enea, dai romanzi di Verne ai libri di viaggio.Viaggi storici, da Pitea, il
primo greco a spingersi nel nord Europa e a descrivere fenomeni come l’aurora
boreale e il sole di mezzanotte, a Marco Polo e i grandi esploratori e
colonizzatori del Cinquecento e del Seicento, da Matteo Ricci a Magellano, da
Willem Janszoon a James Cook. Viaggi fantastici, come quello di Dante nella Commedia,
dell’Ariosto nell’Orlando furioso.
Anche Abramo si mette in
cammino e da allora la storia sua e della sua gente sarà quella di un “arameo
errante”, tanto che questa espressione lo definisce per sempre ed entra nel
“credo” ebraico (cf. Deut 26, 5). Con l’Esodo dall’Egitto l’itineranza
diventerà una categoria chiave per esprimere la natura e la vocazione del
popolo d’Israele.
Dalla letteratura e dalla
storia potremmo passare alla musica, ad esempio, alla «Wanderer-Fantasie» di
Franz Schubert, pietra miliare di tutto il pianismo. Il secondo movimento è
basato su un frammento del Lied «Der Wanderer» (da cui il titolo apocrifo dell’opera
pianistica) che canta:
«Con quanta chiarezza la
luce della luna
mi parla,
animandomi al viaggio:
“Segui fedele l'antico sentiero,
non scegliere nessuna patria.
Eterne pene
ti recheranno altrimenti i giorni duri.
Via, verso altri luoghi
tu devi andare, devi errare,
sfuggire leggero ogni lamento».
Reale o immaginario, il
viaggio ci accompagna sin dalle origini: ci si muove fisicamente o con la
fantasia. La dimensione migratoria che ha guidato per 200.000 anni l’homo
sapiens – sedentarizzato soltanto da poche migliaia di anni – rimane un
istinto potente che spinge al cambiamento, al nuovo, con in fondo l’obiettivo di
conoscere il mondo e soprattutto sé stessi. Al punto da arrivare a dire «Navigare
necesse est, vivere non necesse», l’esortazione che, secondo Plutarco,
Gneo Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza a
imbarcarsi alla volta di Roma a causa del cattivo tempo.
Ma l’uomo è diventato viator
non soltanto e non primariamente per questioni filosofiche o romantiche, ma mosso
dalla necessità: la carestia che genera la fame, le avverse condizioni atmosferiche
che spingono alla ricerca di nuovi pascoli e nuove terre, le invasioni di
popoli nemici e le guerre che causano la morte e spingono alla fuga…
Motivazioni che si perdono nella notte dei tempi, le stesse che obbligano oggi
ad attraversare il deserto del Sahara sfidando la morte, il Mediterraneo su
barche fatiscenti, i Balcani tra le più feroci angherie, i confini con gli
Stati Uniti per poi essere espulsi… E l’uomo si ritrova ad essere vagans,
dispersus, exsul, errans… Condanna, scelta, anelito, opportunità…
L’essere in itinere assurge a figura del cammino della vita, anche
interiore, con grande ricchezza di simboli.
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