«I cieli narrano la
gloria di Dio – canta il Salmo 19 –, l’opera delle sue mani annuncia il
firmamento. (…) Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro
messaggio» (2-5). La creazione, col suo stesso esserci, rivela l’esserci di
Dio, la sua bellezza. Sant’Angela da Foligno (XIII secolo) racconta d’aver
visto nella pienezza di Dio «tutto il mondo, vale a dire di là dal mare, di qua
dal mare e l’abisso e il mare e il resto». Allora «l’anima, piena di
ammirazione, gridò dicendo: “Questo mondo è pregno di Dio” … avvertendo la
presenza di Dio che riempiva tutto». Anche santa Gemma Galgani (XIX secolo) un
giorno vide «una luce di splendore immenso che penetra ogni cosa e, nello
stesso tempo, dà vita ed anima tutto», facendole esclamare: «Io vedo il mio Dio
e tutte le creature in lui». Questa non è soltanto l’esperienza dei mistica, ma
anche di tanti scienziati, l’esperienza che tutti abbiamo fatto una volta o l’altra.
Chiara Lubich
racconta che quando era ancora giovane maestra, percorrendo un viale di ippocastàni
«tutti fioriti, belli, color rosa, ho visto uno di quei fiori come vivo che mi
veniva incontro: vivo, penso, della presenza di Dio che era in esso. Questo
fatto poi (…) diventò una esperienza generale: vedevo, cioè, Dio sotto tutta la
natura, sotto le piante, le stelle...». Pochi anni più tardi, nell’estate del
1949, un’esperienza simile e ancora più forte: «Avevo l’impressione di
percepire, forse per una grazia speciale di Dio, la presenza di Dio sotto le
cose. Per cui se i pini erano inondati dal sole, se i ruscelli cadevano nelle
loro cascatelle luccicando, se le margherite e gli altri fiori ed il cielo
erano in festa per l’estate, più forte era la visione d’un sole che stava sotto
a tutto il creato. Vedevo, in certo modo, credo, Dio che sostiene, che regge le
cose».
Nei suoi viaggi gode
della natura, come quando il 18 aprile 1964, a Recife, in Brasile, scrive: «Qui
la natura sembra cantare il suo più alto grido, come massima espressione di
bellezza ed abbondanza». Oppure in Svizzera, il 13 marzo 1967: «Qui tutto è
bello. Tutto è “natura”. Laghi, monti, prati, boschi. Sole scintillante o
candidissima neve o burrasche di temporali o grandine, ma... non so perché, qui
tutto è così bello e così amabile».
Il 22 gennaio 1987,
in uno dei collegamenti telefonici, racconta: «Contemplando l’immensità dell’universo,
la straordinaria bellezza della natura, la sua potenza, sono risalita
spontaneamente al Creatore del tutto e ho avuto come una nuova comprensione
dell’immensità di Dio. (…) L’ho visto così grande, così grande, così grande che
mi sembrava impossibile avesse pensato a noi». L’anno seguente, invita a
cercare Dio «in modo particolare là dove la natura ce lo svela». Anche se siamo
in una metropoli, continua, «basta uno squarcio di cielo azzurro scorto fra le
cime dei grattacieli, per ricordarci Dio; basta un raggio di sole, che non
manca di penetrare nemmeno fra le sbarre d’una prigione; basta un fiore, un
prato, il volto di un bambino... (…) Questo dobbiamo fare: amare Dio per sé
stesso nella sua immensità, nella sua infinitezza, nella sua bellezza, nel suo
splendore, nella sua onnipotenza...».
Verso la fine della vita, guardando indietro, Chiara ha l’impressione di vedere il compiersi di una parabola. La sua spiritualità è tutta incentrata sull’amore che l’ha portata a cogliere la presenza di Dio dentro di sé, negli altri, nell’unità… Adesso, quasi a compimento del suo cammino, ecco riapparire Dio nel creato. Nasce così la pagina del suo diario del 26 aprile 2001:
Ho sempre detto che
io non sono arrivata a Dio attraverso la natura, ma attraverso la vita
interiore dove l’ho trovato per l’amore.
Ora mi sembra di aver
fatto una parabola: da Dio dentro di me, a Dio fra noi, a Dio nella Chiesa,
Dio, in certo modo, nella fraternità universale, a Dio nel creato e nel cosmo.
In questi giorni,
infatti, ho guardato fuori di me, la natura: il cielo splendido, la natura in
fiore, quell’ampiezza infinita che spalancano i cieli col sole, le stelle… E
avvertivo che non era Chiara d’una volta che guardava, ma Chiara di oggi, che
ha fatto la parabola che ho detto. Attraverso i miei occhi guardava con me o
meglio in me qualcosa di dolcissimo, delicatissimo, caldo, sicuro: l’amore.
Forse era Dio. E tutto era pieno della sua presenza. E capivo perché si può
arrivare a credere a Dio anche solo guardando la natura. E dicevo: noi, uomini,
certamente non abbiamo fatto tutto questo.
C’è stato Uno allora e non il caso perché il caso muto e sordo e
ignorante non può aver creato noi persone intelligenti. È stato Uno più grande del cosmo… È stato
Dio. E vorrei tornare di tempo in tempo
a guardare la natura perché coincide con il vedere il Creatore ed adorarlo ed
esser certa di Lui, e […] del nostro incontro, quel giorno con Lui.
Grazie di questa bella meditazione. P. Fabio. Coincide con la pubblicazione di Laudate Deum. Per questo l’abbiamo tradotto in inglese e messo sul nostro sito. www.focolare.org/ireland
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