martedì 17 ottobre 2023

La guida dello Spirito Santo

Il magistero di Gesù continua in quello dello Spirito donato a Pentecoste: «Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16, 13-14).

La teologia la fa lo Spirito, che è luce e amore, e dona luce e amore. Come non ricordare quello che amavano ripetere i medievali, che «l’Amore è conoscenza»? San Bonaventura diceva di san Francesco d’Assisi che «ove si arresta la scienza dei maestri, egli entrava con l’affetto di chi ama». La sua teologia andava ben oltre quella accademica.

«Le Scritture desiderano essere lette con quello stesso Spirito con il quale sono state scritte, e comprese con quel medesimo Spirito». Così Guglielmo di Saint-Thierry che ripeteva un’affermazione ricorrente tra gli antichi maestri. Con lui Simeone il Nuovo Teologo scriveva: «Tutti possono comprendere quello che leggono nei libri (...) ma le cose riguardanti Dio e la salvezza non possono essere comprese senza l’illumina­zione dello Spirito Santo». Nata per ispirazione dello Spirito la Scrittura ha bisogno dello Spirito perché sprigioni la Parola di Dio.

Per spiegare questa azione dello Spirito è stato utilizzato anche il termine tecnico di epiclesi, riservato abitualmente alla sua discesa nella consacrazione eucaristica: come scendendo sul pane eucaristico lo Spirito fa sì che esso diventi il Cristo vivente e vivificante, così posandosi sulla Scrittura rende viva e vivente la Parola di Dio in essa celata. Girolamo così si esprime: «Non possiamo comprendere le Scritture senza l’aiuto dello Spirito Santo». E Isidoro di Siviglia: «Bisogna comprendere le Scritture secondo che esige il sentire dello Spirito Santo, dal quale sono state scritte». Prima di loro Origene, comunicando la sua esperienza di grande esegeta, affermava: «questi fatti che leggiamo sono certo degni della parola dello Spirito Santo, ma per spiegarli abbiamo bisogno di quella grazia dello Spirito Santo». Dello Spirito Santo, dice altrove, deve essere ripieno chi legge le Scritture, perché solo così le può comprendere. La grazia dello Spirito, spiegavano i medievali, rende il nostro occhio interiore “eliomorfo”, ossia capace di vedere ciò che gli è connaturale: il Sole.

Lo Spirito conduce nel mistero stesso di Dio trasformando in uomini e donne di luce, perché egli appare come “doxa”, “claritas”, luce del Padre e del Figlio, come la luce che si sprigiona nella storia del Risorto.

L’uomo spirituale è l’uomo della luce perché è introdotto dallo Spirito nella “luce” della conoscenza di Dio, perché reso capace di contemplazione – dove contemplazione, come insegna S. Francesco di Sales, «altro non è che un’amorosa, semplice, permanente attenzione dello spirito a Dio e alle cose di Dio». L’uomo spirituale sa cogliere in profondità il mistero di Dio e in esso il mistero della propria vita e il disegno di Dio sugli altri e sui popoli.

Egli appare così come un profeta, capace di leggere e giudicare la storia alla luce del disegno di Dio. «L’uomo spirituale giudica ogni cosa» perché il piano di Dio e i suoi «segreti» gli sono stati «insegnati dallo Spirito» (1 Cor 2, 10-15). Possiede i parametri su cui saggiare la verità delle cose. Sa interpretare i segni dei tempi e cogliere il valore profondo degli avvenimenti, gli aneliti del cuore dell’uomo, i messaggi che più o meno inconsciamente vengono lanciati dalle situazioni del nostro tempo. Proprio perché “vede”, può indicare le vie di soluzione, divenendo capace di aprire nuove frontiere, di elaborare risposte nuove a domande ed esigenze nuove. Uomo di luce, può divenire luce per i suoi fratelli e aiutarli ad entrare nella luce, a “vedere” con gli occhi di Dio.

È lo Spirito che fa cogliere la presenza di Dio nell’altro, che apre la Chiesa al dialogo, che la guida fuori del proprio recinto. Già dai suoi inizi: basta guardare a come egli prende l’i­niziativa, con la conversione di Cornelio, per abbattere il muro di divisione tra giudei e pagani e così aprire la Chiesa verso l’annuncio di Cristo ai pagani (cf. Atti 10, 1‑11.18), o come manda in missione (cf. Atti 8, 26.29; 10, 19‑20; 13, 2‑4), tracciando perfino l'itinerario geografico (cf. Atti 16, 6‑10).

È qualche passaggio della mia relazione al seminario all’Università Salesiana. Cosa c’entra tutto questo le nostre istituzioni accademiche? Non sono queste i luoghi sui quali aleggia lo Spirito, se egli non circola tra le persone che le vivono e tra le differenti istituzioni accademiche, che teologia ne viene fuori? Se gli studi ecclesiastici sono fioriti «sotto la guida dello Spirito Santo e nel dialogo e discernimento dei segni dei tempi e delle diverse espressioni culturali» (Veritatis gaudium, 1), come potranno fiorire ancora se non sotto la sua guida? Non sono le nostre Università luoghi di ascolto, nelle quali si apprendono i criteri di discernimento?

Nessun commento:

Posta un commento