Il magistero di Gesù
continua in quello dello Spirito donato a Pentecoste: «Lo Spirito di verità vi
guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò
che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché
prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16, 13-14).
La teologia la fa lo Spirito, che è luce e amore, e dona luce e amore. Come non ricordare quello che amavano ripetere i medievali, che «l’Amore è conoscenza»? San Bonaventura diceva di san Francesco d’Assisi che «ove si arresta la scienza dei maestri, egli entrava con l’affetto di chi ama». La sua teologia andava ben oltre quella accademica.
«Le Scritture desiderano
essere lette con quello stesso Spirito con il quale sono state scritte, e
comprese con quel medesimo Spirito». Così Guglielmo di Saint-Thierry che
ripeteva un’affermazione ricorrente tra gli antichi maestri. Con lui Simeone il
Nuovo Teologo scriveva: «Tutti possono comprendere quello che leggono nei libri
(...) ma le cose riguardanti Dio e la salvezza non possono essere comprese
senza l’illuminazione dello Spirito Santo». Nata per ispirazione dello Spirito
la Scrittura ha bisogno dello Spirito perché sprigioni la Parola di Dio.
Per spiegare questa azione dello Spirito è stato utilizzato anche il termine tecnico di epiclesi, riservato abitualmente alla sua discesa nella consacrazione eucaristica: come scendendo sul pane eucaristico lo Spirito fa sì che esso diventi il Cristo vivente e vivificante, così posandosi sulla Scrittura rende viva e vivente la Parola di Dio in essa celata. Girolamo così si esprime: «Non possiamo comprendere le Scritture senza l’aiuto dello Spirito Santo». E Isidoro di Siviglia: «Bisogna comprendere le Scritture secondo che esige il sentire dello Spirito Santo, dal quale sono state scritte». Prima di loro Origene, comunicando la sua esperienza di grande esegeta, affermava: «questi fatti che leggiamo sono certo degni della parola dello Spirito Santo, ma per spiegarli abbiamo bisogno di quella grazia dello Spirito Santo». Dello Spirito Santo, dice altrove, deve essere ripieno chi legge le Scritture, perché solo così le può comprendere. La grazia dello Spirito, spiegavano i medievali, rende il nostro occhio interiore “eliomorfo”, ossia capace di vedere ciò che gli è connaturale: il Sole.
Lo Spirito conduce nel
mistero stesso di Dio trasformando in uomini e donne di luce, perché egli appare
come “doxa”, “claritas”, luce del Padre e del Figlio, come la luce che si
sprigiona nella storia del Risorto.
L’uomo spirituale è l’uomo della luce perché è introdotto dallo Spirito nella “luce” della conoscenza di Dio, perché reso capace di contemplazione – dove contemplazione, come insegna S. Francesco di Sales, «altro non è che un’amorosa, semplice, permanente attenzione dello spirito a Dio e alle cose di Dio». L’uomo spirituale sa cogliere in profondità il mistero di Dio e in esso il mistero della propria vita e il disegno di Dio sugli altri e sui popoli.
Egli appare così come un
profeta, capace di leggere e giudicare la storia alla luce del disegno di Dio.
«L’uomo spirituale giudica ogni cosa» perché il piano di Dio e i suoi «segreti»
gli sono stati «insegnati dallo Spirito» (1 Cor 2, 10-15). Possiede i
parametri su cui saggiare la verità delle cose. Sa interpretare i segni dei
tempi e cogliere il valore profondo degli avvenimenti, gli aneliti del cuore
dell’uomo, i messaggi che più o meno inconsciamente vengono lanciati dalle
situazioni del nostro tempo. Proprio perché “vede”, può indicare le vie di
soluzione, divenendo capace di aprire nuove frontiere, di elaborare risposte
nuove a domande ed esigenze nuove. Uomo di luce, può divenire luce per i suoi
fratelli e aiutarli ad entrare nella luce, a “vedere” con gli occhi di Dio.
È lo Spirito che fa cogliere
la presenza di Dio nell’altro, che apre la Chiesa al dialogo, che la guida
fuori del proprio recinto. Già dai suoi inizi: basta guardare a come egli prende
l’iniziativa, con la conversione di Cornelio, per abbattere il muro di
divisione tra giudei e pagani e così aprire la Chiesa verso l’annuncio di
Cristo ai pagani (cf. Atti 10, 1‑11.18),
o come manda in missione (cf. Atti 8,
26.29; 10, 19‑20; 13, 2‑4), tracciando perfino l'itinerario geografico (cf. Atti 16, 6‑10).
È qualche passaggio della
mia relazione al seminario all’Università Salesiana. Cosa c’entra tutto questo le
nostre istituzioni accademiche? Non sono queste i luoghi sui quali aleggia lo
Spirito, se egli non circola tra le persone che le vivono e tra le differenti
istituzioni accademiche, che teologia ne viene fuori? Se gli studi ecclesiastici
sono fioriti «sotto la guida dello Spirito Santo e nel dialogo e discernimento
dei segni dei tempi e delle diverse espressioni culturali» (Veritatis
gaudium, 1), come potranno fiorire ancora se non sotto la sua guida? Non
sono le nostre Università luoghi di ascolto, nelle quali si apprendono i
criteri di discernimento?
Nessun commento:
Posta un commento